Occhi puntati sul piccolo di agnello cresciuto in un utero artificiale. Dai laboratori del CHOP, in Pennsylvania, la tecnologia che potrebbe ridurre significativamente le morti dei bambini nati prematuri.
Nel 2017 il team del Children’s Hospital di Philadelphia (CHOP) pubblicò un video nel quale mostrava un agnello prematuro immerso in un utero artificiale. Si tratta di una tecnologia nuova che non consente, al momento, di mantenere l’animale in vita sin dal concepimento, ma è in grado di supportare l’ultima fase dello sviluppo, qualora la nascita dovesse avvenire prematuramente. Nel caso degli esseri umani, in cui la sopravvivenza prima delle 28 settimane è inferiore al 70%, la possibilità di utilizzare un ambiente extrauterino potrebbe salvare molte vite.
Se avrà il successo che pensiamo possa avere, in definitiva, le gravidanze ad alto rischio di nascita prematura verrebbero trattate in tempo con il nostro sistema anziché con i metodi convenzionali di ventilazione assistita.
La strada è ancora lunga e l’entusiasmo dei ricercatori anticipa le evidenze scientifiche, tuttavia, quanto ottenuto fino a ora ha attirato l’attenzione della Food and Drug Administration (FDA) statunitense. Difatti, si è recentemente tenuto il primo vertice di consulenti esperti per discutere sugli aspetti di natura normativa ed etica, relativamente alla sperimentazione sull’uomo.
Nascite premature
Secondo l’OMS, un neonato si definisce prematuro quando il parto avviene prima della 37° settimana. Tale condizione potrebbe compromettere lo sviluppo completo di alcuni organi, determinando a sua volta difficoltà respiratorie, emorragie cerebrali e complicazioni di varia natura. Sebbene nella maggior parte dei casi si riscontrino problemi momentanei e/o di lieve entità, in alcuni neonati i deficit possono essere permanenti ed avere dunque ripercussioni anche in età adulta.
Nel tempo sono stati immessi sul mercato molti farmaci capaci di rallentare le contrazioni o accelerare lo sviluppo degli organi. Tuttavia, laddove è proprio impossibile posticipare il parto, il problema rimane e rappresenta la principale causa di morte e disabilità nei bambini di età inferiore ai cinque anni.
Complicazioni cliniche
Organi quali il cervello e i polmoni sono gli ultimi a svilupparsi durante il periodo gestazionale, motivo per cui tra le principali complicazioni riscontrabili poi in età adulta ci sono l’ipertensione, l’asma, la paralisi cerebrale e l’epilessia. A tal proposito, da uno studio realizzato in Svezia sono emersi i seguenti dati: su un campione di 2,5 milioni di persone, il 78% di quelle nate prima della 28° settimana presentava una delle condizioni cliniche sopraccitate, mentre nei nati entro il termine il tasso si ferma al 37%.
Il ruolo dell’utero artificiale
In condizioni normali, il feto riceve dalla madre ossigeno, sostanze nutritive e anticorpi, mentre la placenta consente l’eliminazione dei composti di scarto e, inoltre, permette l’interazione tra sangue fetale e materno. I ventilatori, strumentazione attualmente impiegata per aiutare i polmoni non ancora formati nei prematuri, possono danneggiare questi organi ancora così fragili. Per tale ragione il team di ricerca ha focalizzato l’attenzione sulla costruzione di un utero artificiale capace di fornire ossigeno ed espellere anidride carbonica.
Biobag
È il nome scelto dal gruppo CHOP per il loro utero artificiale, che, riempito con un fluido di elettroliti, imita l’ambiente del sacco amniotico. Contestualmente i vasi sanguigni del cordone ombelicale vengono collegati ad un sistema esterno di ossigenazione del sangue, mentre il cuore fetale continua a battere come se fosse nel grembo materno.
Creare il collegamento con i vasi sanguigni del feto è un’operazione complessa che richiede la mano di chirurghi esperti, considerando sia le ridotte dimensioni delle arterie sia la loro capacità di contrarsi subito dopo il parto.
Sperimentazioni a confronto
A lavorare sull’utero artificiale ci sono diversi laboratori in tutto il mondo, sebbene utilizzino approcci diversi al problema. Al momento, il gruppo CHOP sembra essere il più vicino alla sperimentazione sull’uomo, almeno sulla base dei risultati ottenuti. Molto simile ad EXTEND è il dispositivo del team operante nell’Università del Michigan Health, il quale fa circolare il fluido solo nei polmoni tramite un tubo endotracheale.
Confrontando entrambi i progetti si osservano vantaggi e svantaggi, soprattutto legati alla tipologia di parto adottata. Infatti, nel caso di CHOP è necessario procedere con un cesareo elettivo, invece, il progetto del Michigan richiede un parto naturale.
Dagli agnelli all’uomo
Avviare la sperimentazione sull’uomo significherebbe fare un notevole passo in avanti, tuttavia, ci sono oggettivamente dei rischi da non sottovalutare. Ad esempio, gli agnelli hanno comunque delle dimensioni maggiori, dunque la strumentazione dovrebbe essere ritarata sulle dimensioni del feto umano.
Matthew Kemp, ricercatore dell’Università Nazionale di Singapore, invita il team di CHOP a pubblicare quanto prima ulteriori dati ricavati anche dalla sperimentazione sui primati non umani, prima di procedere con gli studi clinici. In particolare, ad oggi non sono noti gli effetti del trattamento a lungo termine, motivo per cui Kemp si mostra ancora abbastanza scettico sulla richiesta di iniziare con gli esseri umani.
La questione bioetica
Se da un lato l’FDA deve esprimersi sugli aspetti prettamente legati alla sicurezza, scoperte del genere hanno comunque un peso a livello bioetico. Infatti, la fattibilità di un utero artificiale potrebbe aprire un giorno il dibattito sulla possibilità di sostituire la gravidanza classica, indipendentemente dal quadro clinico.
L’utilizzo dell’utero artificiale richiede anche un’attenzione diversa nei confronti delle parole impiegate per parlare del feto, dal momento che non lo è nel senso convenzionale del termine. Contestualmente, sebbene siano stati partoriti, non è nemmeno corretto parlare di neonati, poiché, una volta separati dal grembo materno, non sono comunque completamente formati e quindi autonomi.
Può sembrare un discorso secondario o di poca importanza, tuttavia, il nome scelto avrà poi implicazioni sul piano legale in termini di diritti e per questo non può essere ignorato. Ad oggi non c’è ancora una visione condivisa, ma il gruppo CHOP propone di coniare direttamente un nuovo termine, quale neonati fetali o fetonati.
L’utero artificiale è il vero obiettivo?
Come è facilmente intuibile, sperimentazioni del genere richiedono un investimento di tempo e risorse economiche importanti. Il chirurgo Michael Harrison, da molti considerato il “padre della chirurgia fetale”, nonostante abbia accolto positivamente i risultati della ricerca, si chiede quanto effettivamente sia utile investire così tanto nel migliorare la sopravvivenza dei nati prematuri.
Infatti, dal momento che si sa ancora così poco sul perché le donne inizino il travaglio prima della scadenza canonica e non ci siano, ad oggi, tecniche efficaci per l’assistenza critica pretermine, il medico rimane dubbioso su cosa sarebbe meglio fare: sperimentare sul prima o sul dopo parto. Scelte difficili, che probabilmente non possono essere catalogate come più giuste o più sbagliate, perché, nonostante abbiano un obiettivo comune, salvare vite, osservano il problema da punti di vista troppo diversi per trovare una linea comune.
Queste tecnologie sono ciò di cui abbiamo bisogno quando le misure sistemiche falliscono.
Oggi la medicina salva vite un tempo condannate a morte grazie ad una tecnologia che, nel prendere forma, supera l’immaginazione, dando nuove speranze.
Eppure, mentre nei laboratori il progresso viaggia su binari ad altissima velocità, la nostra cultura continua a faticare nel tentativo di scardinare i punti saldi di un’etica fondata su convinzioni talvolta obsolete, che non rispondono più alle nuove sfide ed anzi ancora troppe volte ne limitano l’espressione.
Carolina Salomoni