Da qualche decennio l’uso del “piuttosto che” è diventato ambiguo, infatti quella che in origine era una locuzione avversativa, si sta affiancando (quasi sostituendo) alla congiunzione disgiuntiva “o”. Ma com’è successo?
Sarà capitato a tutti di sentir usare la locuzione “piuttosto che” in un elenco di opzioni possibili, che prevede in teoria l’uso della semplicissima congiunzione disgiuntiva “o”, o peggio di aderire in prima persona a quest’uso. Bene, nell’ultimo caso, sappiate che non è una nuova forma approvata dall’uso comune e dall’Accademia della Crusca, bensì una forma sbagliata, che crea ambiguità e fa accapponare la pelle sia alle persone comuni, che agli accademici.
Consideriamo la frase “mi piacerebbe andare al mare, o in piscina”: vuol dire che mi piacerebbe andare in egual modo sia al mare, che in piscina, e che devo semplicemente decidere la meta. La stessa frase verrebbe completamente stravolta con l’uso del piuttosto che, infatti: “mi piacerebbe andare al mare, piuttosto che in piscina”. Adesso vuol dire che preferisco – sottolineo, preferisco – andare al mare, anziché in piscina, e che quasi sicuramente non andrò in piscina.
Ma chi è stato a gettare il seme della discordia e dello scempio nella grammatica italiana? Secondo l’Accademia della Crusca
sarebbe stata una moda gergale dei giovani torinesi del ceto medio-alto, già dai primi anni ’80, ma il vero e proprio lancio nel pubblico sarebbe avvenuto alla metà degli anni ’90 da parte di radio e televisioni, sempre settentrionali. Questo ha contribuito a far entrare la moda nelle case di tutti gli italiani, e così la notiamo anche in giornalisti, professori e quant’altro.
Nonostante la sua diffusione, l’uso del “piuttosto che” in contesti disgiuntivi continua a essere sbagliato. È la differenza tra forme che entrano in una lingua e forme che continuano a essere errate
Una qualsiasi lingua parlata è un sistema vivo, in continua evoluzione, e per questo il suo studio può essere difficile o comunque richiedere una certa flessibilità o apertura nei confronti di dibattiti che, un caso come quello che abbiamo analizzato, può generare. Una lingua come il latino può dirsi a tutti gli effetti morta, nel senso che non è più parlata e quindi non ci sono cambiamenti, usi gergali che poi si affermano come nazionali, e così via. Per questo il latino può essere studiato come sistema “compiuto”, ma anche lì ci sono eccezioni e usi differenti dello stesso elemento grammaticale.
Questo non significa che tutte le deviazioni dall’italiano standard vengano accolte nell’insieme di norme ritenute come corrette. Infatti, si definisce scorretto l’uso di un elemento grammaticale che compromette la funzione primaria della lingua, ovvero comunicare un certo messaggio, in quanto un uso anziché un altro dello stesso elemento può trasmettere un messaggio diverso, come abbiamo visto nell’esempio precedente.
Un uso che è entrato nella lingua è la mancata accentazione del pronome riflessivo “se” affianco a “stesso”, quindi possiamo trovare scritto tanto “se stesso” quanto “sé stesso”. Invece, l’uso disgiuntivo del piuttosto che continua a non essere raccomandabile né nello scritto e né tanto meno nel parlato.
Francesca Santoro