Questa remota area è la casa di orsi polari e caribù, ma le trivellazioni in Alaska sono la promessa di petrolio e ricchezza.
Dopo oltre sessant’anni di protezione dell’area più selvaggia degli Stati Uniti, l’amministrazione Trump ha approvato ufficialmente un piano per la vendita di permessi di trivellazione nell’Arctic National Wildlife Refuge (ANWR) fino al 2024.
Trump’s administration will allow oil and gas drilling in Alaska’s Arctic National Wildlife Refuge, a refuge that has been off-limits to drilling for decades
Environmentalists and Democrats have long sought to block the pristine area, home to wildlife https://t.co/dpBjLctaKM🐻❄️ pic.twitter.com/klhOZ8xKdn
— Reuters (@Reuters) August 17, 2020
L’idea delle trivellazioni in Alaska non è nuova. Sin dall’epoca del Presidente Reagan, i Repubblicani hanno decantato le lodi dell’Alaska in quanto miniera di petrolio e gas. Il Presidente Trump ha spesso dichiarato che un incremento delle trivellazioni in Alaska avrebbe dato una svolta positiva all’espansione della produzione petrolifera nazionale, così da assicurare agli Stati Uniti il dominio energetico.
Tuttavia, è solo nel 2017 che è arrivata la svolta, quando il Congresso ha proposto la messa all’asta dei permessi di trivellazione nell’ANWR. Da allora, molte compagnie petrolifere hanno cercato di ottenere permessi di trivellazioni nell’ ANWR, ma il governo aveva sempre dichiarato di non aver preso una decisone definitiva in materia.
Ora, probabilmente anche a causa della grave crisi economica che sta investendo il mondo intero e con il pretesto che le trivellazioni porterebbero sviluppo economico nell’area, il governo degli Stati Uniti ha deciso di aprire le vendite per i permessi.
Le previsioni
Il Segretario degli Interni David Bernhardt sembra sicuro che i permessi saranno venduti entro la fine dell’anno. Resta da vedere se la cosa accadrà, principalmente per tre motivi. Primo, proprio a causa della crisi economica, sono poche le aziende in grado di investire molti soldi per guadagni a lungo termine. Secondo, la forte spinta globale verso un’economia green e fonti energetiche pulite potrebbe rappresentare un deterrente per le compagnie petrolifere. Il terzo motivo è rappresentato dai costi delle trivellazioni in Alaska.
In passato, le aziende petrolifere avevano abbandonato l’idea delle trivellazioni in Alaska a causa degli elevati costi per l’estrazione e il trasporto del petrolio da un’area così remota, prediligendo regioni più “semplici” come il Texas, il North Dakota e altri stati equipaggiati con oleodotti. Oggi poche compagnie petrolifere rimangono attive nella zona, come la Hilcorp e la ConocoPhillips.
L’opposizione: non solo ambientalisti
Gli ambientalisti criticano la decisione sostenendo che le trivellazioni in Alaska, oltre a rovinare l’habitat naturale di specie autoctone come i caribù e gli orsi polari, avrà pesanti ripercussioni locali, accelerando problemi come lo scioglimento del permafrost, la perdita di villaggi costieri che rischiano di essere sommersi dall’acqua e la morte di animali che rappresentano una fonte di sostentamento per le tribù locali.
.@BankofAmerica, the Arctic Refuge is home to wildlife vital for the subsistence of Alaska Native communities. The right move here is clear — keep your money out of Arctic drilling! #StandWithTheGwichin #ProtectTheArctic pic.twitter.com/Mh5Ph0AKit
— Indigenous Environmental Network (@IENearth) August 17, 2020
L’opposizione arriva anche dalle banche e da importanti gruppi di servizi finanziari. JPMorgan Chase, Wells Fargo, Morgan Stanley, Citigroup e Goldman Sachs, che hanno dichiarato che non forniranno alcun aiuto finanziario per le compagnie che intendono trivellare nell’ANWR.
Noemi Rebecca Capelli