L’Urlo è probabilmente l’opera più conosciuta del pittore norvegese Edvard Munch. La serie di tre quadri dipinti tra il 1893 e il 1910 è riconosciuto universalmente come simbolo del dramma collettivo della sofferenza, del tormento e della paura. La gestazione dell’opera fa lunga e tortuosa, come lo stato d’animo che portò il pittore a ritrarre quel momento di vita angosciante.
L’autore stessa scriverà a proposito dell’opera:
Camminavo lungo la strada con due amici quando il sole tramontò, il cielo si tinse all’improvviso di rosso sangue. Mi fermai, mi appoggiai stanco morto a una palizzata. Sul fiordo nero-azzurro e sulla città c’erano sangue e lingue di fuoco. I miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura… E sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura.
Le analisi condotte su L’urlo di Munch
La tecnica utilizzata per la versione definitiva de L’Urlo comprende pitture a olio a base di solfuro di cadmio. Queste tinte sono soggette a un graduale deterioramento e un team del Consiglio di ricerca di Perugia, guidato dalla chimica Letizia Monico, ha svolto delle analisi per comprendere al meglio come salvare la brillantezza dell’opera. I risultati sono stati pubblicati su Science Advances.
Le analisi condotte sul quadro e sulle pitture utilizzate comprendevano la spettroscopia non invasiva in combinazione con microspettroscopia a raggi X. Invecchiando artificialmente alcuni modelli campione è stato possibile confermare i dati emersi con le indagini precedenti. È emerso, infatti, che sarebbe l’umidità a trasformare il brillante giallo cadmio in un bianco avorio. Questo problema, oltre che ne L’Urlo di Munch, era già stato riscontrato in opere di Van Gogh e Matisse. La vernice composta da solfuro di cadmio se esposta a una percentuale di umidità superiore al 45% si ossida e si formerà un altro composto, il solfato di cadmio. Non è quindi la luce a svolgere un ruolo chiave nella degradazione del dipinto. Tenendolo in teche ad umidità controllata sarà possibile tornare ad esporre il celebre quadro molto più spesso.
Giulia Fasano