Di Francesca de Carolis
“Urla a bassa voce – dal buio del 41 Bis e del fine pena mai”, A CURA DI FRANCESCA DE CAROLIS.
La pena di morte viva. Così viene definito da chi lo vive l’ergastolo ostativo, prodotto dell’inasprimento delle pene con le quali lo Stato ha risposto ai reati di mafia all’inizio degli anni ’90, un meccanismo per il quale la condanna diventa un “fine pena mai”. E “uomini ombra” si definiscono le 36 persone, tutte condannate all’ergastolo, molte passate per il regime del 41bis, che intervengono nelle pagine di questo “libro collettivo”.
Per spiegare la loro condizione, raccontare la loro vita, i percorsi che li hanno portati in carcere, ma soprattutto il tempo infinito di una pena che, annullando qualsiasi possibilità di futuro che non sia implacabilmente dentro il carcere, lontano da familiari e luoghi d’origine, diventa un “morire ogni giorno”. Rappresentano tutte le persone, si calcola attualmente siano circa 1.200 sui circa 1.500 condannati all’ergastolo, per le quali in Italia sono di fatto cancellati tutti i diritti e i benefici previsti dalla legge per buona condotta.
Nell’estate del 2011 hanno rinnovato al presidente Napolitano la richiesta di trasformare la loro condanna in pena di morte. Una provocazione, ma forse no. A trent’anni dall’introduzione del reato di associazione mafiosa e dopo 20 anni dall’inasprimento delle leggi per combattere la criminalità organizzata, l’introduzione di regimi carcerari differenziati, l’estensione del carcere duro, il 41 bis, la sospensione dei normali benefici, questa è la prima testimonianza collettiva di un gruppo di ergastolani, condannati per reati legati alla criminalità organizzata, che hanno scelto di non essere collaboratori di giustizia. In un momento in cui con sempre maggiore drammaticità si pone il problema dell’affollamento delle carceri italiane e delle condizioni di chi vi è detenuto, questi racconti di vita e queste testimonianze, dalla prospettiva di una condanna senza appello e senza via d’uscita, aprono una riflessione sulla condizione fisica e morale di chi , sull’onda lunga di leggi emergenziali, è condannato a morire in carcere. Una riflessione sul senso della pena e sulla necessità del rispetto dei diritti che la nostra Costituzione garantisce per tutti, indipendentemente dalla configurazione dei reati commessi.