Uranio impoverito: luci ed ombre sugli studi

uranio impoverito

Tra falsi miti e leciti dubbi: un viaggio alla scoperta dell’uranio impoverito e del suo uso a scopo militare

L’uranio impoverito è tornato sulla scena bellica grazie al Regno Unito che, come ho riportato anche nel precedente articolo (qui), ha deciso di inviare delle munizioni anticarro all’uranio impoverito in Ucraina, riaccendendo un dibattito lungo decenni sul suo uso per scopi militari: fa male alla salute? Quali sono gli studi in materia? Il contatto diretto è l’unico problema?

Queste sono alcune delle domande alle quali vorrei tentare di rispondere.

Che cos’è l’uranio impoverito?

Rispondere bene a questa domanda è fondamentale per capire appieno l’impatto che l’uranio impoverito (UI) ha sulla salute umana e sull’ambiente.

L’uranio, anzitutto, nel suo stato naturale è costituito da tre isotopi: U-234, U-235 e U238. Per produrre combustibile per alcuni tipi di reattori nucleari l’uranio deve essere arricchito nell’isotopo U-235, responsabile della fissione nucleare. Una volta che questo uranio arricchito viene rimosso, il sottoprodotto, ovvero la miscela restante, è il nostro UI, con concentrazioni ridotte di U-234 e U-235, notevolmente meno radioattivo. Secondo la Nuclear Regulatory Commission, la frazione percentuale in peso di U-235 per l’uranio impoverito deve essere inferiore allo 0,711%.

In campo militare viene utilizzato principalmente come munizione anticarro e per abbattere i missili in volo, essendo l’UI circa il 70% più denso del piombo. I soldati americani ed inglesi utilizzano l’uranio impoverito come forma di corazza indossabile, molto più efficiente di un classico giubbotto antiproiettile. Il suo scopo in ambito militare è ovviamente molto più variegato, ma queste tre funzioni sono le principali.

Tipicamente la concentrazione percentuale in peso degli isotopi di uranio nell’uranio impoverito utilizzato per scopi militari è: U-238: 99,8%, U-235: 0,2%, U-234: 0,001%.

L’uranio impoverito fa male alla salute?

Come ho avuto modo di spiegare in altre sedi, non potendo però approfondire gli studi, non c’è una risposta certa.

Diversi studi sono stati condotti sia in ambito lavorativo sia su chi si occupava del processo di estrazione dell’uranio, nonché in ambito civile e militare.

In campo militare, ad esempio, sono stati condotti studi sulla salute del personale che ha assistito durante la Guerra del Golfo (1990 e 1991) e, in particolare, riguardano alcuni militari che presentavano frammenti inoperabili di UI nel corpo. In estrema sintesi, questi veterani hanno mostrato elevati livelli di deiezione di uranio impoverito nelle urine ma, anche a distanza di anni, non si sono riscontrati effetti osservabili sulla salute. Sempre in ambito militare, sono stati condotti studi epidemiologici sulla salute del personale militare che ha prestato servizio in scenari di guerra dove è stato utilizzato il DU e sono stati paragonati con dati prelevati in scenari di guerra che non includevano l’uso dell’UI: risultato? Nessuna variazione.

Altre ricerche hanno interessato i lavoratori esposti all’uranio impoverito e naturale e hanno portato tutte alla stessa conclusione: anche quando esposti ad elevate quantità di uranio, non ci sono prove che l’uranio impoverito e l’uranio naturale siano cancerogeni.

In poche parole, tutti gli studi ufficiali stroncano qualsiasi legame causa-effetto tra l’uranio impoverito e malattie di qualsiasi tipo.

Ci sono dei ma

Una recente rassegna di studi su BMJ Global Health ha evidenziato, tuttavia, “possibili associazioni” di problemi di salute a lungo termine tra i civili iracheni legati all’uso dell’uranio impoverito sul campo di battaglia. Negli ultimi vent’anni si sono moltiplicati gli studi indipendenti in cui si afferma che l’uranio impoverito potrebbe essere correlato ad un maggior aumento di mortalità tra i civili in zone di guerra. Uno dei problemi principali di queste ricerche, e questo è il motivo per cui in generale non si può affermare con certezza l’associazione causa-effetto in scenari di guerra, è la raccolta dei dati: in una guerra si usano molti metalli e sostanze chimiche pericolose, una volta terminata non è semplice distinguere i danni dei singoli composti.

In Italia, in particolare, la situazione non è chiarissima: in più di vent’anni sono stati segnalati circa 8000 casi di malattie gravi, come la leucemia, tra i soldati italiani che hanno prestato servizio principalmente in Kosovo. Si stima che le morti sarebbero intorno alle 400 e in alcune di queste sono stati previsti dei risarcimenti: un’inchiesta parlamentare non nega possibili correlazioni ma, avendo messo nel campo di studi più di una sostanza tossica e/o radioattiva, non si è potuto affermare con certezza la correlazione tra l’uranio impoverito e queste malattie.

In più c’è da dire che questi studi presentano delle falle non indifferenti: attualmente non si sa l’effetto dell’esposizione all’uranio, sia naturale che impoverito, sul sistema riproduttivo; così come non è noto se l’esposizione all’uranio abbia effetti sullo sviluppo del feto umano.

E l’ambiente?

Gli studi sull’ambiente, invece, sono molto più carenti ed inconcludenti. Ormai sappiamo che l’esposizione diretta all’uranio impoverito non è l’unico problema: quando dei proiettili composti da questo elemento colpiscono un mezzo corazzato, o un missile, si disintegrano con grande facilità e l’uranio impoverito presente al loro interno viene vaporizzato, depositandosi sul suolo. Una volta sul terreno può arrivare facilmente alle acque sotterranee o essere trasportato dal vento. Come già accennato sopra, gli studi in questo campo lasciano diversi dubbi e anche l’OMS ha ammesso che, in determinati casi, come nella contaminazione delle falde acquifere, i livelli di contaminazione negli alimenti e nelle acque potrebbero aumentare dopo alcuni anni e raccomanda azioni di bonifica laddove i livelli di contaminazione siano troppo elevati.

La contaminazione ambientale in guerra è un serio problema che ancora oggi passa un po’ in sordina. Anche qui, studi recenti sembrano trovare terreno fertile, soprattutto grazie alla presenza di migliaia di proiettili all’uranio impoverito, o ai loro frammenti, seppelliti in Kosovo ed Iraq.

In questi spazi vi terrò aggiornati di ulteriori studi in materia.

Due precisazioni

Tutti gli studi citati, salvo diverso appunto, sono consultabili sul sito dell’IAEA, Qui.

In alcuni articoli scientifici e nel sito della difesa britannica e statunitense potreste trovare  DU invece di UI, che sta per Depleted Uranium.

Diego De Nardo

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