“Uomo invisibile”: il razzismo in America spiegato da Ralph Ellison

Essere nero negli anni ’40 negli Stati Uniti vuol dire essere un Uomo invisibile

Nascere uomo vuol dire nascere con una storia, nascere nero vuol dire nascere con una storia travagliata. Così, oggi, grazie alla traduzione di Francesco Pacifico, siamo chiamati a chiederci cosa significhi nascere nero negli anni ’40 negli Stati Uniti, a più di settant’anni dalla pubblicazione di un romanzo che, in realtà, non vuole risponderci. Uomo invisibile di Ralph Ellison non può risponderci, perché tra tutti i privilegi che la nostra nascita ci ha riservato, non c’è quello di capire la condizione di un nero in America.  Pubblicato per la prima volta nel 1952 – e in una nuova traduzione nel 2021 da Fandango l’anno successivo ha vinto il National Book Award, affermandosi come uno dei romanzi costituenti dell’intera letteratura statunitense.

Ralph Ellison è stato uno scrittore, saggista e critico musicale afroamericano. Nella sua opera sono frequenti e inevitabili i richiami al mondo musicale, per via dello studio del pianoforte e della tromba e dell’ammirazione per Louis Armstrong: è spinto così a indagare il rapporto tra la loro condizione di invisibilità e la percezione del tempo, che si fa più pura. Ellison studia gli autori classici e moderni, in particolare Eliot e Dostoevskij, dei quali consolida la conoscenza attraverso un viaggio in Europa e con cui tesse un continuo dialogo.

Un giovane, nero, senza nome, arriva dal Sud a New York, per scoprire che non sapere dove si è vuol dire non sapere chi si è

Un giovane di origini afroamericane cresciuto nel Sud degli Stati Uniti viene cacciato dal college per un malinteso, favorito dal colore della sua pelle, in un contesto di ribellione che ricorda solo in apparenza quello ne Il giovane Holden, pubblicato solo un anno prima. Così, si inaugura per il giovane un periodo di messa in discussione delle verità fino ad allora apprese, circa il dovere dei neri di assecondare i bianchi e di farsi strada in questo modo nel loro mondo.

Cosa e quanto avevo perso cercando di fare soltanto ciò che ci si aspettava da me invece di ciò che desideravo? Che spreco, che spreco insensato!

Arriva a New York per cercare lavoro, dove è ospitato dalla signora Mary e fa l’incontro della Fratellanza, un’organizzazione comunista finalizzata al riscatto della razza nera, della quale all’inizio dubitava per gli stessi motivi che alla fine, lo faranno finire nei guai a causa sua: un radicalismo tale da ricordare la cecità dei rivoluzionari francesi di due secoli prima.  Tutte queste esperienze sono accomunate da due aspetti in particolare: il peso delle aspettative sui giovani come lui per il riscatto sociale dei neri, e il peso della sua invisibilità, che durante la narrazione si fa penetrabilità rispetto all’ambiente circostante. Infatti, quella per l’identità diventa una vera e propria ossessione, che non gli impedisce di cadere vittima di una personalità aliena.

È invisibile perché la gente si rifiuta di vedere in lui una persona reale, piuttosto che uno stereotipo, e questo causa in lui un vero e proprio processo di dissociazione dalla realtà, in quanto in vari squarci del racconto non sapremo riconoscere se si tratti di realtà o sogno allucinante.



La ricerca di identità di razza si fa ricerca di identità individuale

L’indagine delle dinamiche razziste non si ferma alla superficie sociale, ma raggiunge la profondità esistenziale, formale del protagonista, invisibile non a causa  della cecità altrui, ma dell’assenza di luce.

Senza luce non solo sono invisibile, sono anche informe, e ignorare la propria forma è vivere una morte.

L’uomo invisibile rivendica per sé stesso una capacità decisionale che prescinda non solo dai bianchi, dall’autorità, dagli dei, dal destino, ma anche da coloro che dicono di essere come lui. Il fatto che non abbia un nome – irrilevante dal punto di vista strutturale dato che la narrazione è in prima persona – e una direzione, facilita la sua identificazione con l’autore stesso, ma non con il lettore, che è straniato e sofferente per la mancanza di empatia, quell’empatia sterile a cui la cultura pop l’ha tanto abituato. L’unica rivelazione  è scoprire che queste pagine sono un unico flusso di coscienza in cui si inframmezzano richiami musicali, ora lamento – What did I do to be so black and blue? – ora incitazione, e descrizioni talmente suggestive da far cambiare opinione a chi non si definisce un loro amante.

Forse solo esperienze recenti come lo scorso lockdown, che ci ha reso di fatto invisibili all’esterno e impotenti, e l’uccisione iconica dell’afroamericano George Floyd possono aiutarci a entrare più nel vivo di questo romanzo, che lo stesso Ellison non ritiene un mezzo di intrattenimento, ma un mezzo per contribuire alla creazione dell’idea americana di America.

Francesca Santoro

 

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