L’affermazione kantiana circa l’importanza di trattare l’uomo come fine e mai come mezzo ci interroga ancora oggi.
Ci sono frasi che vanno oltre lo spazio e il tempo, ci sono affermazioni che dovrebbero valere al di là di ogni credo, sia esso religioso, politico o culturale. Ci sono espressioni che ci parlano e insegnano nonostante i secoli trascorsi da quando sono state pronunciate. Una di queste di certo è venuta alla luce dalla penna di Immanuel Kant. E ci parla dell’importanza di considerare l’uomo come un fine.
Il filosofo, la filosofia:
Kant, filosofo tedesco che ha attraversato il XVIII secolo, è uno di quei pensatori che continuano a parlarci e a interrogarci ancor oggi. Uomo dell’imperativo categorico e dell’indagine estetica, autore di quelle tre Critiche (Critica della ragion pura, Critica della ragion pratica e Critica del giudizio) che volevano indagare l’uomo nei suoi limiti e possibilità.
Pensatore illuminista, assoluto sostenitore dell’importanza di un uso libero e critico della ragione. Uso a tutt’oggi necessario e fondamentale per ogni uomo. Nessuno escluso. Kant è uno di quei pensatori che ti fanno comprendere non solo come si possa pensare la filosofia, ma anche agire nella filosofia.
Monito che dovrebbe interrogarci su quanto poco di filosofia si sappia oggi, se la si continua a considerare come un sapere puramente astratto o, peggio ancora, impraticabile.
Il rigore della filosofia kantiana si rispecchia nel suo agire anche attraverso un simpatico aneddoto che lo riguarda. Si dice che il filosofo fosse talmente preciso che gli abitanti della sua città, Königsberg, regolassero gli orologi in base alle sue passeggiate per il paese.
L’uomo come fine:
La frase kantiana cita:
agisci in modo da considerare l’umanità, sia nella tua persona, sia nella persona di ogni altro, sempre anche al tempo stesso come scopo, e mai come semplice mezzo.
Citazione contenuta nell’opera Fondazione della metafisica dei costumi, datata 1795. Eppure quanto ancora dobbiamo imparare da essa. Proviamo allora a sentirci interrogati da questa formulazione morale espressa in così poche parole eppure contenente una vastissima fonte di riflessioni.
È una frase lapidaria se ci si pensa bene. Una frase che non lascia scampo. Che non permette vie di fuga o obiezioni che possano iniziare con un qualsivoglia “ma..”, “sì, ok, però..”. È un’affermazione ferma, pulita, chiara e al contempo profondissima. Come lo era la filosofia di chi la ha scritta.
È comprensibile che sull’appellativo “chiara” molti studenti delle superiori (e non solo) avrebbero qualcosa da ridire ma, c’è da fidarsi, se si ha la tenacia di tener duro fino alla fine della filosofia kantiana, la sua totale chiarezza, prima o poi apparirà anche ai più dubbiosi.
L’uomo, l’umanità:
È con la stessa fiducia che è necessario addentarsi nel fondo della citazione da cui questo scritto prende avvio. Agiamo veramente nei confronti degli altri trattandoli sempre come fini e mai come mezzi? Inoltre, ci sentiamo trattati allo stesso modo?
Quando sentiamo i governanti parlare, sentiamo di essere il fine ultimo delle loro decisioni e non un mezzo per ottenere dei risultati? In un mondo basato per lo più sul consumismo, siamo i fini di ogni produzione o un mezzo per poterla accrescere?
Se si pensa che l’orizzonte preso in considerazione sia troppo vasto, ci si concentri pure su un campo più ristretto (in termini di persone prese in considerazione). Ogni nostro rapporto, è tale da poter affermare in ogni suo gesto l’affermazione kantiana?
Se la risposta è no, allora dovremmo fare i conti con noi stessi. E non tralasciare quell’aspetto che rimanda alla propria soggettività a cui fa riferimento Kant nelle parole sia nella tua persona. Trattiamo noi stessi come fine?
L’umanità citata dal filosofo esiste e si manifesta tanto in noi, quanto negli altri. È l’umanità che deve essere considerata fine a se stessa. L’uomo come fine. O meglio, l’umanità come fine. Tanto in se stessi, quanto negli altri.
Quale legame tra gli uomini emerge in questa affermazione. Quanta responsabilità verso ogni componente della sfera umana si fa strada in queste parole. Ancora una volta: nessuno escluso.
Da dove trarre la forza e il coraggio di mettere in atto una tale affermazione? Dalla ragione.
È il filosofo di Königsberg che, non a caso, descrivere il motto dell’Illuminismo con le parole:
Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza.
Ah! Quanto avremmo ancora bisogno delle passeggiate di Kant…
Caterina Simoncello