“Continua l’assalto alle coste italiane: 800 immigrati in sole 24 ore”
“Lo stupro di gruppo nel video choc: presi due giovani magrebini”
“Sbarchi senza fine: 400 clandestini arrivano a Taranto. E altri 400 aspettano un porto”
Sono titoli da “Il Giornale” che platealmente, tradendo la correttezza dell’esposizione, sanno esacerbare la percezione di una minaccia rigorosamente straniera. Ma ciò che leggiamo o vediamo nei media può realmente influenzare la formazione del nostro pensiero circa uno specifico tema? Alcuni ricercatori dell’Università di Leuven dicono di sì. Con riferimento al fenomeno migrazioni, i risultati dell’indagine nell’ambito del progetto HumMingBird, mostrano come il modo in cui i mezzi di informazione scelgono di comunicare circa tale argomento incida sulla criminalizzazione dello stesso
Le migrazioni sono da tanti anni argomento centrale dei più discussi dibattiti politici e sociali, sono però il 2015 e 2016 con l’acuirsi degli eventi, a segnare specialmente in Europa, l’accensione scottante del tema. Tv, giornali, social, qualsiasi media ne ha trattato e secondo i ricercatori dell’Università di Leuven, le parole usate e la combinazione di esse, posseggono un ruolo fondamentale nel formare e plasmare le opinioni del pubblico.
Essi, attraverso un sondaggio online, hanno raccolto dati in sei paesi Europei ( Belgio, Germania, Ungheria, Italia; Spagna e Svezia) da adulti di età compresa tra 25 e 65 anni. L’analisi è stata avviata con l’obiettivo di comprendere se la diversità nelle tipologie di informazioni consumate possa sviluppare una diversa percezione sulle migrazioni.
Due sono le teorie chiave a cui guardare in merito alla formazione dell’atteggiamento. La prima è l’ipotesi del contatto secondo cui la vicinanza tra individui modifica e riduce i comportamenti pregiudiziali o anti/migratori, specialmente se sussistono 4 condizioni ottimali: uguale status tra gruppi; obiettivi comuni; cooperazione intergruppo; e sostegno dell’autorità, la legge. La seconda opposta invece è la teoria della minaccia di gruppo, per cui il contatto tra gruppi promuove il conflitto a causa della minaccia percepita. Questa può essere realista se legata all’economia o alla criminalità, o simbolica, se connessa alla cultura o alla religione.
È intuitivo comprendere quanto i titoli riportati in apertura spingano per la realizzazione concreta di questa seconda tesi in cui attriti e ostilità hanno la meglio. “Il Giornale” infatti, esaminato dalla ricerca insieme ad altri 6 giornali italiani ( La Repubblica, La Stampa, Avvenire, Il Sole 24 Ore, il Corriere della Sera e il Fatto Quotidiano), è, sulla base dell’impiego linguistico, nel gruppo di destra, dove l’atteggiamento nei confronti delle persone straniere risulta essere negativo.
Emergenzializzazione degli sbarchi e razzismo trovano sintonia
Gli studiosi, hanno posto particolare attenzione alla ricorrenza di parole chiave tra loro associate, come ad esempio “criminalità”, “terrorismo”, “rifugiati”, “integrazione”, e rilevano un elevato impatto sull’opinione pubblica quando si parla di economia e cultura a livello interno. In riferimento ancora a “ Il Giornale” la ricorrenza delle parole “islam” e “musulmani” in chiave avversa, inclina le impressioni sul livello dell’ostilità per poi accentuare propensioni razziste.
Gli articoli di cronaca nera, sanno ben spiegare come etnicizzazione e incriminazione possano incastrarsi per attuare la teoria della minaccia di gruppo spiegata dall’università di Leuven
“Stupro di una donna in piazza Napoli, arrestato il terzo uomo. È un egiziano” Laddove l’evidenziazione della nazionalità avviene senza che vi sia pertinenza o utilità per capire il fatto accaduto, il crimine oltrepassa l’individualità per divenire rappresentazione di determinati gruppi etnici. Così, centrale non è più la violenza sessuale ( nell’esempio). Il caso specifico è adombrato dalla più ampia ricerca di colpevoli all’interno di una moltitudine identificata, di nazionalità straniera, come se lo stesso atto compiuto da un uomo italiano fosse di minore importanza.
Tornando a migrazioni e sbarchi, la narrazione attenta a sottolineare una pericolosa crisi risulta poi anche distorta. Considerando i numeri in continua discesa dal 2015: a sopportare più degli altri il peso delle migrazioni è il continente Africano. Nel 2020 secondo il World Migration Report guerre e carestie hanno trasformato 21 milioni di africani in profughi forzati, il maggior numero di essi sono però profughi interni al Paese.
Il punto erroneo e fuorviante di tutta questa retorica emergenziale sta nella generazione di dinamiche circolari che non conoscono vie di fuga.
Sono esposizioni mancanti di soluzioni
È nota la fallimentarietà del respingimento sistematico cui continuiamo ad assistere e su cui tali racconti fanno leva. Insuccesso che trascura la mancanza di solide politiche che garantiscano le libertà di movimento e contrastino le violenze.
Decomporre il razzismo insito a tali dinamiche è una scelta professionale. È contrasto alla disinformazione in primis, poi alle discriminazioni che ne conseguono.
Le parole hanno il potere di cambiare il mondo, e non è solo illusione.
Giorgia Zazzeroni