Sicuri che l’Unità d’Italia sia andata proprio come la si studia a scuola ?
L’Unità d’Italia fu un furbo espediente di Cavour per evitare la bancarotta del Regno di Sardegna. Tutta un’altra storia da quella che abbiamo studiato al liceo: Camillo Benso, Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi insieme per unificare l’Italia. Una storia dal gusto romantico quella che studiamo a scuola, dove grandi eroi si impegnano per la libertà e l’indipendenza della nostra penisola, pronti a combattere per farla divenire un unico e coeso Regno. In realtà il motore che ha mosso l’Unità d’Italia non è stato quello dell’indipendenza e della rivalsa, ma quello del denaro e dell’espansionismo sabaudo. Tuttavia, per arrivare al 17 marzo del 1861 e alla legge n. 4671, che sancì definitivamente la nascita del Regno d’Italia, bisogna tornare una decina d’anni indietro e ripercorrere le tappe della politica economico finanziaria di Cavour.
Il primo debito con i Rothschild
Nel 1849 i banchieri della famiglia Rothschild investivano già in diversi Regni italiani, ma non in Piemonte che, a causa della sua politica molto chiusa, non offriva opportunità di guadagno. Quell’anno il Piemonte iniziò la prima guerra di indipendenza contro il regno austriaco ma venne sconfitto a Novara, ritrovandosi con un debito di 75 milioni di lire nei confronti degli austriaci. La famiglia Rothschild vide allora un’opportunità e offrì al Piemonte un anticipo immediato di un quarto dell’importo totale, con tassi di interesse al 5% (applicando la cosiddetta trappola del debito), creando un rapporto di dipendenza per il Regno di Sardegna.
Cavour e la politica economica di lungo periodo
Un paio di anni più tardi, nel 1851, Camillo Benso conte di Cavour divenne ministro delle finanze del Regno di Sardegna ritrovandosi in una pessima situazione: di lì a poco sarebbe scaduto il termine per ripagare il debito contratto un paio di anni prima con i Rothschild. James von Rothschild, un uomo “generoso”, propose subito a Cavour di contrarre un nuovo debito per estinguere il precedente. Il ministro, che era uno scaltro statista, non cadde nella trappola e rifiutò, architettando un piano economico adatto a sollevare l’economia sabauda nel lungo periodo. Così iniziarono gli investimenti del Piemonte in infrastrutture e in un paio d’anni vennero costruite moltissime ferrovie e opere pubbliche, per stare al passo con i tempi e con quella Parigi che era il polo economico europeo (Cavour e il suo tempo, Rosario Romeo, 2012)
Il Regno di Sardegna, verso l’Unità d’Italia
Gli investimenti di Cavour diedero presto i suoi frutti poiché le nuove tecnologie e infrastrutture piemontesi resero, agli occhi dei grandi banchieri e investitori europei, il Regno di Sardegna meritevole del loro interesse. In quegli anni molti furono gli investitori privati di Cavour, che gestiva il suo gioco con fare elegante e disinvolto, mentre i Rothschild restavano un passo indietro ad osservare le politiche del conte.
Unità d’Italia, l’unico modo
La vera impresa di Cavour però doveva ancora venire: l’espansione sabauda contro l’Austria. Il debito pubblico piemontese nel 1860 era di più di un milione di lire, il più alto tra tutti i Regni italici. L’unico modo per salvarsi dalla bancarotta a quel punto era una guerra: una guerra che avrebbe permesso al Piemonte di mettere le mani sul patrimonio borbonico, la guerra per ottenere l’Unità d’Italia. Di nuovo Cavour si rivolse ai Rothschild che inizialmente temporeggiarono, avrebbero dovuto finanziare una guerra contro il loro stesso Stato, ma alla fine si dissero d’accordo, perché in fondo, bastava che girasse il denaro per rendere tutti contenti. I Rothschild da parte loro ci avrebbero guadagnato l’influenza non solo sul regno sabaudo ma sull’intera penisola unificata.
Corruzione e stratagemmi per salvare il Piemonte
Tuttavia Cavour, uomo di grande intelligenza, si accorse che per riuscire in questa impresa, l’unico modo era dare all’imminente scontro il volto di una guerra di liberazione dalla monarchia in favore dello stato liberale. Una guerra per uno scopo comune più alto: l’Unità d’Italia. Così i nobili e benpensanti europei del tempo avrebbero avuto la loro giustificazione ideologica. Fu grazie al denaro dei Rothschild che i Mille arrivarono nel regno borbonico e sconfissero il loro esercito. Riuscirono nell’impresa perché i generali borbonici furono corrotti e decisero -per soldi- di battere in ritirata. Sempre con il denaro dei Rothschild furono pagati uomini e donne per fingere di volere l’indipendenza, mentre le casse dei vari regni italiani venivano svuotate dai Sabaudi.
Le storia che non ti aspetti
Nino Bixio, ufficiale della marina militare, scriveva nel suo diario di bordo “Gli emissari di Cavour percorrono la Sicilia e comprano a peso d’oro le persone più influenti con i soldi degli europei, ormai metà della marina regia borbonica è dalla nostra parte.” (Epistolario di Nino Bixio). Così l’Unità d’Italia fu fatta e il Piemonte si salvò dalla bancarotta. Garibaldi si prese le sue glorie e Cavour riuscì a gestire la politica economica del regno di Sardegna in modo impeccabile, senza destare sospetto per l’Europa che quella guerra fosse solo un modo per ripagare i debiti del suo Regno.
Quale Unità d’Italia ?
Alla luce di tutto ciò, non dovrebbe più stupire un fenomeno come quello del brigantaggio o la questione meridionale, che è nata proprio a causa di questi eventi. Non dovrebbe destare stupore la narrazione che tutti conosciamo e che fin troppo è proseguita, ovvero quella dei Meridionali contadini analfabeti e fannulloni e i Settentrionali scaltri e grandi lavoratori. Una narrazione tossica e fuori luogo, dovuta a centinaia di anni di storia studiata nell’ottica di chi l’ha scritta: i vincitori. Vincitori che saremmo dovuti essere noi italiani come popolo, ma a vincere nel 1861 furono solo il denaro, la politica di Cavour e gli interessi della famiglia Rothschild. L’Unità d’Italia fu quasi una presa in giro, che oggi ci piace raccontare come fosse la verità.
Virginia Maggi