Unicredit vara il piano per uscire dalla crisi : aumento di capitale da 13 miliardi ; riduzione del personale per 6900 unità in più rispetto a quanto precedentemente previsto – arrivando così ad un totale di 14000 licenziamenti e prepensionamenti.
E’ stato annunciato con grande enfasi il Piano strategico di Unicredit – la maggiore e la più “internazionalizzata” fra le banche italiane – per rientrare dalla situazione di sofferenza e crisi di fiducia in cui si dibatte da diversi anni.
Il Piano, chiamato “Trasform 2019” in realtà è una sorta di rafforzamento di altre iniziative precedenti.
E non si capisce bene se : questo passo sia stato determinato dal “mutato quadro politico” (Governo debole a seguito del No al referendum, con la conseguente caduta di ogni speranza in garanzie pubbliche, magari informali, a una strategia più conservativa) ;
oppure se il Piano sia stato varato in tutta fretta “nonostante” il mutato quadro successivo all’esito referendario che ha rovesciato l’esecutivo Renzi.
Il quale, o meglio, la cui maggioranza parlamentare grosso modo sempre identica, deve adesso affrontare la grana ancor più urgente di Mps : sull’orlo del default.
Unicredit: piano di salvaguardia
L’operazione Unicredit sarà sottoposta all’approvazione dell’assemblea il 12 gennaio.
L’aumento dovrebbe essere interamente garantito da un consorzio di “primarie banche internazionali”.
Per quest’anno, nessun dividendo agli azionisti (nessun guadagno) e taglio dello stipendio del top management.
La risposta del mercato al piano ieri è stata molto positiva: in Borsa il titolo Unicredit ha guadagnato sino al +15,9%.
Tutto ciò sul piano dell’aumento di capitalizzazione, appunto, e di altre operazioni di gestione del bilancio, nel cui tecnicismo non ci inoltriamo : ma tutto certo funzionale al necessario assorbimento/copertura dei debiti accumulati nel corso di anni di operazioni e scelte rivelatesi sbagliate.
Sul piano del taglio dei costi, il che in questo caso vuol significare riduzione della forza lavoro:
Il piano di Unicredit prevede altri 6.500 esuberi – 3.900 in Italia – tutti posti da eliminare entro il 2019. I tagli di personale totalizzeranno così circa 14 mila unità, nell’arco del decennio, per un risparmio di 1 miliardo e oltre (i sindacati ovviamente protestano). In Italia verrebbe cancellato il 21% della forza lavoro (un quinto dei dipendenti) con la chiusura di 883 filiali, una su quattro (molto minore l’impatto sul personale in Germania ed Austria, dove peraltro le autorità dovranno presto occuparsi del problema-Deutsche Bank).
Il personale di Unicredit passerà quindi da 101 mila a 87 mila : con risparmi pari a 650 milioni in Italia, e quasi altrettanti fra Germania ed Austria.
Quindi in Italia la scelta di riduzione dei costi si andrà a concentrare in grossa parte sulla spesa per il personale – stante la proliferazione degli sportelli dei primi anni del millennio, scelta rivelatasi presto dissennata.
Ma legata a dinamiche politiche e imprenditoriale ben precise, su cui adesso non possiamo soffermarci.
Democrazia e capitalismo finanziario nel XXI secolo
Certo che il caso di Unicredit – la più internazionale e “moderna” delle nostre aziende del credito – dimostra come funziona il capitalismo contemporaneo : aumenti di capitale, e riduzione della forza lavoro, sempre più ormai indirizzata sulle classi medie.
Capital intensive e non labour intensive.
Questo serve al profitto, nel mondo del XXI secolo. Non troppo diversamente che in altre epoche – ma con ancor maggior rilevanza.
Poi domandiamoci perché capitalismo e società sono in guerra, e la democrazia è così in crisi.
ALESSIO ESPOSITO (www.facebook.com/tiggistoria)