“I grandi amano le cifre. Quando voi gli parlate di un nuovo amico, mai si interessano alle cose essenziali. Non si domandano mai: Qual è il tono della sua voce? Quali sono i suoi giochi preferiti? Fa collezione di farfalle? Ma vi domandano: Che età ha? Quanti fratelli? Quanto pesa? Quanto guadagna suo padre? Allora soltanto credono di conoscerlo.”
Antoine de Saint-Exupéry, Il piccolo principe
Il video che segue non ha bisogno di commenti ma semmai di riflessioni. Siamo diventati una società di ombre, apparenze e paura. Viviamo in un’epoca in cui abbiamo continuamente bisogno di confermare le nostre convinzioni che proteggiamo avidamente. La nostra è una società insicura che rifiuta quella parte della realtà che mette in crisi il suo preteso moralismo.
La conferma è questo esperimento, dove possiamo osservare che anche l’innocenza può essere macchiata di indifferenza e diffidenza. Soprattutto, se quest’innocenza indossa abiti che ci fanno sentire in colpa per il nostro modo di vivere, gli abiti della povertà.
È un esperimento sociale realizzato dall’Unicef per denunciare le disuguaglianze e le iniquità di trattamento degli infanti. È stato diffuso in occasione del rapporto dell’Unicef sulle “Condizioni dell’infanzia nel mondo”. Questo tipo di disuguaglianze di trattamento e discriminazioni sono presenti in molti paesi europei, in particolare, sono più accentuati dove vi è una forte presenza di comunità rom.
La bambina che vedrete nel video è una attrice, gli altri sono persone che stanno vivendo la loro quotidianità, ignari delle telecamere.
Nonostante la bambini fosse stata avvertita e preparata a quello a cui andava incontro, in quanto attrice, i suoi occhi e il suo cuore ancora giovani e incontaminati non hanno potuto reggere la situazione e sopportare il malessere dovuto a quello che ha visto e provato su se stessa, portandola ad esplodere in un pianto. Un pianto simbolo del futuro a cui andiamo incontro se non vi sarà impegno per migliorare noi stessi e il nostro atteggiamento verso gli altri, in particolare verso le persone più fragili e in difficoltà.
Non mi aspettavo che uomini e donne adulte potessero esprimere paura e disgusto verso una bambina di sei anni, anche se mal vestita. Evidentemente ciò che disturbava le persone con cui cercava invano di interagire veniva dal profondo, la parte dell’Uomo che non vorremmo avere e vedere in noi stessi.
Siamo anestetizzati e inibiti nel reagire dalla nostra situazione di agio e vantaggio nella società, infatti, quando l’esperimento è stato svolto nella strada nonostante la bambina indossasse abiti malconci, la gente riusciva a tollerare la sua presenza perché era più facile ignorarla; d’altronde erano tutti di passaggio, non erano forzati ad entrare in contatto con lei, e se l’empatia nasceva poteva essere taciuta in un solo un istante, grazie alle infinite vie di fuga in quello spazio aperto che circondava la bambina.
Mi auguro che in futuro ogni persona, me inclusa, trovi la forza per non allontanare i problemi della società di cui fa parte. Mi auguro che ognuno di noi riesca a uscire dalla sua caverna, allontanandosi dal gioco di ombre di cui parlava Platone.
Le associazioni come l’Unicef, provano ogni giorno a risolvere queste problemi, ma non basta, bisogna, che tutta la società si impegni a risolverli. Altrimenti Anano e gli altri bambini penseranno che crescere ti rende solo più arido, più cinico e più cattivo, in una sola parola: peggiore.
Non è questo l’animo con cui un bambino dovrebbe andare incontro al proprio futuro… o sbaglio?
Giulia Saya