“Unabomber” tra manifesto intellettuale e pacchi bomba

Unabomber

Clara Campi

Clara Campi


Tra il 1978 e il 1995 gli Stati Uniti erano terrorizzati da un terrorista misterioso che inviava pacchi bomba.
Sono state spedite un totale di 16 bombe, tra cui una inesplosa, che hanno causato 23 feriti e 3 morti.
Le prime bombe vengono inviate ad università in Illinois e Utah e alle compagnie aeree American Airlines e United Airlines, guadagnandogli in nome di “University And Airlines Bomber”, accorciato poi dalla stampa in “Unabomber”.

Nel 1995, diversi quotidiani nazionali ricevono una lettera in cui il terrorista chiede di pubblicare integralmente il suo manifesto intitolato “La società industriale e il suo futuro”, minacciando che, in caso di rifiuto, molti altri innocenti sarebbero morti.
L’FBI dà la sua approvazione e il manifesto viene pubblicato.

Nonostante sia stato scritto nel 1995, il manifesto è più attuale che mai: spiega che la società industriale sta gradualmente privando l’essere umano delle sue libertà fondamentali, riducendolo al semplice ingranaggio di una macchina.
“L’uso di un nuovo prodotto tecnologico è inizialmente facoltativo, ma non rimane in seguito necessariamente tale perché la nuova tecnologia tende a cambiare la società e diviene difficile o impossibile per chiunque operare senza farvi ricorso” – scrive, ben prima della diffusione dei telefoni cellulari e prima che internet si imponesse nelle nostre vite.
“A coloro che pensano che tutto questo sappia di fantascienza, noi mostriamo come la fantascienza di ieri sia il nostro presente. La rivoluzione industriale ha alterato radicalmente l’ambiente dell’uomo e il suo modo di vita e, visto che la tecnologia è sempre più applicata al corpo umano e alla mente, ci si deve solo aspettare che l’uomo stesso sia alterato radicalmente come lo sono stati il suo ambiente e il suo modo di vita.” Previsioni decisamente più accurate di quelle di Nostradamus.

Oltre a scrivere pagine e pagine sul sistema industriale, la tecnologia e l’ambientalismo, fa anche una lunga analisi della sinistra e degli “intellettuali di sinistra” e anch’essa oggi – in tempi di identity politcs e politically correct – risulta più accurata che mai:

“Quando qualcuno interpreta come degradante quasi tutto quello che si dice su di lui (o sui gruppi con cui si identifica), noi deduciamo che soffre di sentimenti di inferiorità o di bassa autostima. Questa tendenza è marcata tra coloro che sostengono i diritti delle minoranze, appartengano o no ai gruppi minoritari che difendono. Essi sono ipersuscettibili alle parole usate per designare le minoranze […]
I più suscettibili all’uso di una terminologia “politicamente scorretta” non sono gli abitanti comuni di un ghetto nero, l’immigrante asiatico, le donne violentate o le persone disabili, ma una minoranza di attivisti, molti dei quali non appartengono ad alcun gruppo “oppresso” ma provengono dalle classi privilegiate della società. La correttezza politica ha la sua roccaforte tra i professori universitari, persone cioè con un impiego sicuro, buone retribuzioni e, per la maggior parte, eterosessuali, maschi bianchi e provenienti da famiglie di classe media.”

Insomma, per l’opinione pubblica americana, Unabomber non è più solo un pazzo bombarolo: per alcuni diventa anche un intellettuale con una visione lucida e accurata della realtà e del futuro prossimo, che viene rapidamente assunto a punto di riferimento da diversi gruppi ambientalisti.

Il manifesto è disponibile integralmente qui.

Al momento della pubblicazione del manifesto, David Kaczynski, un quarantacinquenne di Chicago, viene spinto dalla moglie Linda a leggerlo, convinta che possa essere stato scritto dal fratello di David, Ted.
Ted ritiene che suo fratello non avrebbe mai fatto del male a nessuno, ma decide di accontentare Linda, sicuro di poterla smentire.
Il manifesto lo lascia però senza dubbi e con un amaro sapore in bocca: sembra davvero essere stato scritto da Ted.

Combattuto tra la voglia di fare la cosa giusta e quella di proteggere l’amatissimo fratello, decide infine di avvisare l’FBI, che il 3 aprile 1996 arresterà Ted.

Theodore John Kaczynski nasce a Chicago nel 1942.
E’ un bambino solitario ma estremamente dotato: il suo quoziente intellettivo è 167 (per darvi un termine di paragone, quello di Einstein è stimato essere 160).
Particolarmente portato per la matematica, inizia a frequentare corsi avanzati e a saltare le classi, ritrovandosi quindi ad essere sempre il più piccolo della classe, cosa che non lo aiuta a socializzare e lo rende anzi sempre più introverso.
Un giorno, David chiede alla loro mamma, Wanda, come mai Ted non avesse amici, lei risponde raccontando che, appena nato, Ted aveva avuto una grave forma di orticaria che l’aveva costretto settimane in ospedale.
Essendo gli anni ’40, periodo con una sensibilità drasticamente diversa da quella odierna, il reparto di pediatria non permetteva l’accesso ai genitori, se non per due ore due giorni alla settimana.
Secondo la madre, da quel ricovero Ted non sarà mai più lo stesso: tornato, sembrava non fidarsi più di nessuno, nemmeno dei suoi stessi genitori, e impiegò mesi prima di ricominciare a guardarli negli occhi.
Wanda conclude il racconto chiedendo a David di non abbandonare mai Ted e lui promette solennemente.
Ancora oggi, è divorato dal senso di colpa per aver infranto quella promessa.

Nel 1958, a soli 16 anni, Ted inizia a frequentare Harvard, dove è stato ammesso con una borsa di studio completa.
Di nuovo, è il più giovane di tutti.
Si offre volontario per uno studio tenuto dal Dr. Henry Murray, psicologo e ricercatore da lui molto stimato.
Lo studio, della durata di tre anni, era commissionato dalla CIA e aveva l’obiettivo di elaborare nuove tecniche di interrogatorio per terroristi, ma i volontari non vennero informati di questo particolare.
Gli studenti-cavia dovevano scrivere una tesina sulla loro visione della vita, tesina che veniva utilizzata dal Dr. Murray e dai suoi ricercatori per insultare la loro intelligenza e demoralizzarli mentre erano immobilizzati su una sedia e collegati a degli elettrodi.

Kaczynski sosterrà sempre che questa esperienza non gli ha lasciato traumi, ma la sua famiglia non concorda.

Nel 1967 ottiene un dottorato in matematica ad Harvard e in seguito si trasferisce in California, diventando il più giovane assistente professore dell’università di Berkeley, da dove però si dimette due anni dopo.
Sul suo diario scriverà: “Questi sciocchi pensavano che volessi fare la carriera universitaria, mentre io volevo soltanto risparmiare abbastanza soldi per comprarmi una cabina nei boschi e vivere lontano da tutto”, desiderio che realizzerà di lì a poco, trasferendosi a Lincoln, Montana, in una catapecchia senza elettricità né acqua corrente, dove vivrà per 25 anni nutrendosi principalmente di cacciagione, fabbricherà le bombe e dove resterà fino al suo arresto.

Bombarolo autodidatta, appunta nei suoi diari cifrati la frustrazione di non riuscire a produrre bombe letali, almeno fino al 1985, quando uccide la sua prima vittima: il proprietario di un negozio di computer in California. Questo omicidio, però, non lo ferma, anzi: lo stimola a continuare a migliorare i suoi ordigni, che firmava con la sigla “FC”, cioè “Freedom Club”, nonostante questo club avesse solo un membro, lui stesso.
L’FBI brancola nel buio, non riuscendo a trovare un nesso logico tra i destinatari dei suoi pacchi, probabilmente perché questo nesso esisteva solo nella mente di Ted, almeno finché non decide di rendere note le sue motivazioni facendo pubblicare il manifesto, senza pensare che qualcuno avrebbe potuto riconoscerlo dai suoi scritti.

Quando, nel 1996, viene arrestato e interrogato, gli viene detto che gli inquirenti sono arrivati a lui tramite la segnalazione di suo fratello, al che ribatte: “Non può essere stato David. Lui mi ama”.
Quando realizza che è andata proprio così, interrompe tutti i contatti con la famiglia, che pure avrebbe voluto stargli vicino nonostante tutto.

Ted chiede agli avvocati di non utilizzare al processo la difesa per infermità mentale, nel timore che una diagnosi di schizofrenia paranoide e di disordine della personalità possa inficiare il suo manifesto e la sua missione di vita, ma loro decidono di non ascoltarlo, costringendolo dunque al patteggiamento: viene condannato all’ergastolo senza possibilità di appello, in un carcere di massima sicurezza, dove risiede tutt’ora, intrattenendo rapporti epistolari con centinaia di attivisti, ambientalisti e giornalisti.

Non ha mai risposto alle lettere di David.

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