“Una lepre con la faccia da bambina” è un libro edito da “Fandango Libri” che racconta il disastro ambientale del Seveso attraverso gli occhi di Marco, una ragazzino di una famiglia agiata che però fa parte della comunità più colpita dalla contaminazione da diossina. Il racconto uscì per la prima volta in libreria due anni dopo l’accaduto, nel 1978. L’ autrice, Laura Conti, era consigliera regionale del PCI e segretaria della Commissione Sanità ed Ecologia del Consiglio regionale della Lombardia, che si occupò di gestire gli sfollati.
Dopo l’esplosione del reattore nel 1976, Conti trascorse moltissimo tempo a Seveso, tra i suoi abitanti. Più che un racconto di cronaca, i libro è il tentativo dell’autrice di riflettere sui meccanismi psicologici che si attivano in tempi di crisi. La Conti espone i cambiamenti nelle scelte dei singoli, le convinzioni e le paure della società, quando queste vengono negati da decreti e provvedimenti sanitari. Con l’evento drastico dell’avvelenamento atmosferico, la famiglia, il lavoro e lo status sociale da cardini della società democristiana si trasformano nei problemi della stessa. Così mentre la realtà della comunità viene sconvolta dall’evento catastrofico, questa assiste anche alla discussone sui suoi valori fondanti. La prefazione al 2021 di Marco Martorelli riconsiglia questa lettura ai giovani contemporanei. Questo libro infatti si colloca nella crisi presente della pandemia come uno strumento di comprensione delle reazioni che la popolazione e il potere pubblico hanno durante un emergenza sanitaria.
Il racconto di una crisi educativa
La storia è stata accolta sia dagli adulti che dai ragazzi proprio per per la sua capacità di utilizzare lo sguardo del giovane come una lente di ingrandimento sulle ipocrisie di una cultura non più resiliente . Se inizialmente l’autrice, esperta in divulgazione scientifica per ragazzi, voleva scrivere un’opera nella forma di diario di dodicenne sevesino, si rese presto conto che:
il dramma di Seveso potesse essere vissuto, oltre che come dramma sanitario ed ecologico, anche come dramma dell’educazione (Laura Conti)
La Conti decise quindi che Una Lepre con la faccia da Bambina sarebbe stato un libro sulla crisi del sistema educativo. La famiglia del protagonista è infatti rappresentata come incapace di trasmettere il senso di appartenenza a un gruppo. La sua principale attività è quella di dividere e nascondere i fatti nel tentativo di preservare intatto il suo status sociale. La diossina aveva scosso a tal punto la comunità cattolica di Seveso, che le superstizioni su cui continuava a proliferare, si svalutarono.
Conti ricorda nell’Italia del ’76 c’erano problemi grandi, che impedirono di risolvere la crisi civilmente: una società segregata e competitiva, senza strumenti di comunicazione di massa, senza una la legge per l’aborto né un sistema sanitario nazionale. Per questo, la crisi sanitaria di allora si collegò alla crisi del sistema educativo. I problemi chiave infatti non potevano essere accettati e risolti dalla comunità a causa del sistema culturale del tempo. In seguito, il caso del Seveso rappresentò l’esempio di tutte le riforme sanitarie che lo seguirono. Dal 1981 al 2012 l’Unione Europea emanò quattro “Direttive Seveso”, per regolare pratiche di prevenzione dei grandi rischi industriali, in Italia si fecero concessioni sull’aborto nel 1976 e nel 1978 il governo Andreotti creò il sistema sanitario nazionale.
L’attualità del libro Una lepre con la faccia da bambina
Ora la crisi sanitaria ed educativa sono tornate a riguardare i giovani d’oggi. Per primi, i ragazzi devono sperimentare nell’apprendimento ed adattarsi ai grandi cambiamenti portati dalla pandemia mondiale. Nei fatti del ’76 vediamo infatti una totale rassomiglianza agli eventi presenti. La segregazione a zone di maggiore o minore contaminazione, la sospensione delle attività lavorative, la convivenza forzata e la rinascita della struttura sociale familiare , insieme al sentimento di vergogna e di rinuncia forzata.
Ma come i ragazzi del Seveso, i giovani si trovano anche in una condizione psicologica simile di privazione. Senza un istituzione scolastica e spazi di socialità, viene a mancare il confronto, la presa di consapevolezza e lo sviluppo degli affetti essenziali durante l’adolescenza.
Il mio protagonista viveva in un mondo in cui la trasmissione dei valori
da una generazione all’altra stava inceppandosi, a causa della perdita del linguaggio materiale (le case, gli oggetti) che di quella trasmissione era stato tradizionalmente lo strumento (Laura Conti)
Attraverso uno suo studio sul linguaggio adolescenziale della zona Milano- Brianza la Conti riesce a contestualizzare l’esperienza di un adolescente in crisi con se stesso e col mondo. Riproducendo il linguaggio povero degli adolescenti del tempo, la Conti cerca di rappresentare la perdita della materia culturale, e conseguentemente della capacità di esprimersi. La povertà linguistica si articola in modi di dire, scurrilità, povertà dei tempi verbali e di vocabolario. E’ importante riconoscerli, sebbene possano sembrare elementi tipici del linguaggio dei ragazzi. Secondo Conti, infatti questo è anche anche il linguaggio della sottomissione e dell’esclusione, che i ragazzi del racconto vivono.
La bambina con la faccia di lepre: le ripercussioni della crisi
La contaminazione da diossina fu causata dell’esplosione di un reattore nelle fabbriche chimiche dell’Icmesa. Nel 1976 a Meda, abitavano principalmente gli impiegati della fabbrica con le loro famiglie; Il 10 luglio, si liberò nell’aria una nube di diossina che ricoprì tutte le cose ed avvelenò insieme piante ed animali. La moria generale colpì tutti gli esseri viventi che si trovavano all’aperto quel giorno. Pochi giorni dopo invece, iniziarono ad ammalarsi i bambini. Presto parte della comunità fu messa al riparo in un hotel. Le sue vicende, dai primi segni di contaminazione negli animali domestici fino al ritorno a casa vengono seguiti da Marco e la sua amica Sara. Sono loro gli occhi e le orecchie indiscrete di tutta la catena di reazioni con cui il dramma si dispiega.
La società che ci raccontano non è meno individualista di quella odierna. Il mito della Brianza, dell’uomo che si fa da solo e della fabbrica instancabile, ha soprattutto contribuito ad aggravare la situazione nel disastro. All’idea del nord Italia produttivo, si legano il grande sentimento di chiusura e le azioni estremiste quali il sequestro di persona, le occupazioni e addirittura la negazione dell’intervento di bonifica. Privata dei suoi beni materiali e dei suoi strumenti di conoscenza, la comunità si trova improvvisamente al di là della legge e senza la sua compassione cattolica, che l’aiuta a sopravvivere.
La crisi sanitaria cresce esponenzialmente facendo crollare una dopo l’altra le realtà precostituite: abitanti del nord e abitanti del sud, famiglia e comunità, adolescenza ed età adulta. Così, se partiamo da un momento in cui le classi più povere e più vicine al luogo dell’incidente, sono colpevoli in quanto infette, in un secondo momento i colpevoli diventano le classi più alte (dirigenti e dottori), che simbolicamente detengono i valori della società cattolica.
La società di Seveso è più segregata di quella di oggi. Possiamo comunque scorgervi gli atteggiamenti di negazione, di additamento e di diffidenza verso le autorità pubbliche, che vediamo nel presente pandemico. Non a caso Marco, il protagonista è ancora un ragazzino. Ancora troppo ignorante per poter dire pienamente cosa pensa ma ancora abbastanza per raccontare i fatti così come sono. L’aiuto della sua amica Sara, espressione della necessità di conoscenza, permette a Marco di scoprire prima degli altri ciò che sta succedendo: dalla moria, alla cloracne, all’aborto e alle leucemie. Tuttavia Marco non arriva mai a capire davvero la gente. Con le sue incalzanti domande retoriche, rivela a noi lettori le grandi contraddizioni psicologiche che emergono dentro di noi, durante una crisi sanitaria che è una crisi allo stesso tempo molto condivisa e molto privata.
Elisa Melodia