Nsaku Ne Vunda è conosciuto come il primo ambasciatore africano entrato in rapporti con il Vaticano. La volontà era quella di far conoscere la drammatica situazione della tratta degli schiavi e chiedere al Pontefice l’invio di missionari e Vescovi per permettere l’evangelizzazione della vasta regione africana, ostacolata dagli interessi economici dei portoghesi.
Le origini di Nsaku Ne Vunda
Nsaku Ne Vunda, successivamente battezzato e consacrato sacerdote con il nome di don Antonio Manuel, nacque nel regno del Congo. Essendo il più fidato, tra gli uomini del re, nel 1604 fu inviato dal sovrano Alvaro II come ambasciatore in Vaticano. Lo scopo della missione era entrare in diretto contatto con il Pontefice per liberare il Regno del Congo dalla mediazione evangelica dei portoghesi e, con l’occasione, raccontare la situazione drammatica nella quale si trovava la regione a causa del commercio di schiavi. I rapporti di questo regno con il cattolicesimo risalgono al 1490, quando i missionari arrivarono nella regione. Gli ecclesiastici portoghesi si fecero però presto corrompere dagli interessi economici provenienti dalla tratta degli schiavi. La spedizione di un ambasciatore a Roma fu sempre considerata ma mai attuata fino alla salita al trono del re Alvaro II che, anche grazie alle insistenti richieste provenienti da papa Clemente VIII, decise di inviare nella Sante Sede Nsaku Ne Vunda. La missione fu fin dalle origini ostacolata in quanto i portoghesi diffidavano del rapporto di protezione a cui il regno del Congo auspicava con questo mandato.
Il viaggio tra continenti dell’ambasciatore
La delegazione partì a bordo di una nave piena di schiavi diretta in Brasile e le sofferenze furono una costante di tutto il viaggio. Le rotte del traffico di esseri umani erano contraddistinte da violenze e umiliazioni disumane, alle quali si aggiungevano le insidie date dall’oceano e quelle date dagli attacchi pirateschi. Dopo un lunghissimo viaggio, durato anni, don Manuel sbarcò in Spagna, luogo in cui incontrò l’Inquisizione spagnola, che con le sue pratiche sanguinose e repressive si aggiunse alle torture subite dall’ambasciatore e dai suoi compagni lungo il viaggio. Nel 1606 l’ambasciatore ricevette una lettera da parte di Papa Paolo V, successore di Clemente VIII, che confermava la volontà di riceverlo nella Santa Sede. L’anno seguente, nel 1607, finalmente don Antonio Manuel riuscì ad arrivare a Roma. Arrivò in uno stato di salute molto precario dato da un malessere che lo prese lungo il viaggio. Fu accolto e curato da alcuni cardinali mentre il Papa sovraintendeva ai preparativi per il glorioso ricevimento. Le condizioni del sacerdote africano però peggioravano drasticamente, così il papa decise di muoversi lui stesso per fare visita al malato. Il colloquio tra i due avvenne e l’ambasciatore poté riferire i messaggi che gli erano stati consegnati dal suo sovrano. Il tanto desiderato soggiorno romano ebbe vita brevissima, Nsaku Ne Vunda morì infatti il giorno dell’Epifania del 1608. Paolo V decise di onorare il suo impegno e la sua fede cattolica e il corpo del giovane africano fu sepolto nella Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma. Il suo lavoro e la sua sofferenza non furono purtroppo ripagati, nonostante la nascita della Prefettura Apostolica del Congo affidata ai frati cappuccini italiani, il Vaticano non riuscì a contrastare significativamente i colonizzatori portoghesi che, smaniosi di avere il completo controllo sul traffico degli schiavi e altre risorse pregiate, furono la causa della rovina del Regno africano.
La storia di Nsaku Ne Vunda è fortunatamente comunque ricordata, essendo un significativo episodio di speranza all’interno di una pagina drammatica quale è la tratta atlantica degli schiavi africani. Nel 2018 lo scrittore di origini congolesi Wilfried N’Sondé ha pubblicato un libro intitolato “Un oceano, due mari, tre continenti”, che ripercorre in maniera romanzata la storia dell’ambasciatore africano. N’Sondé tiene a ricordare quanto la responsabilità dei commerci di esseri umani fosse nelle mani di potenti europei ma sottolinea, parallelamente, come molti africani si siano resi carnefici dei loro stessi connazionali. È una denuncia, la sua, che cerca la responsabilità di tutti coloro che si sono arricchiti grazie ad un mercato disumano e che spera nella scomparsa di queste pratiche, ancora oggi esistenti. In un’intervista ha dichiarato, infatti, come la nave in cui viaggia il protagonista del suo libro sia
la miniatura non solo della realtà di allora, ma anche della nostra contemporaneità, in cui prevalgono spesso gli interessi di pochi, lo sfruttamento di tutto e tutti, la mercificazione delle persone. La tratta non si è esaurita con l’abolizione della schiavitù, ma continua sotto altre forme, un po’ ovunque nel pianeta. Forse oggi, come ripete sempre Papa Francesco, è tempo di creare un altro tipo di fraternità. Non basata sugli interessi, ma sul rispetto degli altri.
Adele Dainese