“Cosa” è una delle parole che usiamo molto di frequente nella nostra quotidianità, più di quanto non ce ne rendiamo conto. All’interno della frase può avere la funzione di oggetto o complemento oggetto.
E nella nostra vita che ruolo ha?
Durante il Festival della Filosofia di Modena del 2012, che portava come argomento Le cose, il filosofo Zygmunt Bauman si concentrò:
sull’idea di cosa al singolare, facendo riferimento alla visione del mondo attraverso il rapporto soggetto/esseri umani e oggetto/cose. Le cose non esistono a prescindere, sono i nostri pensieri e le nostre discussioni a definirle: noi stessi creiamo le cose perché ne parliamo, le conosciamo perché le utilizziamo. Eppure, c’è una definizione intrinseca, forse scontata, ovvero le cose hanno un significato che noi diamo loro. Di conseguenza, poiché siamo noi a dare un significato, possiamo plasmare questo stesso significato, in quanto si tratta di un’idea fabbricata in base alle nostre necessità.
Dopo questa breve introduzione, Bauman proseguì il suo intervento collegando la cosa alla sua filosofia. Partendo dal consumismo, passò per i concetti di soddisfazione, della sgretolabilità dei rapporti di oggi, di moralità, di amore, del ruolo della tecnologia, della ricerca della felicità e dell’apparente soluzione all’insoddisfazione. Con unico filo conduttore la liquidità, che è la somma della precarietà, delle condizioni di continua incertezza e della paura di non essere mai al passo con i tempi e quindi restare indietro.
Certamente quanto detto finora mette tutti sull’attenti. Mostra in un’altra ottica il passato e la quotidianità. Interroga sull’essere o meno a conoscenza della questione, che a tutti gli effetti rappresenta un problema dell’individuo e della società in cui vive. Tuttavia, a mio parere, l’aspetto più grave e profondo riguarda il rapporto di un individuo con un altro individuo. Questo, oltre all’aspetto liquido, si è trasformato (nel 90% dei casi) in un rapporto soggetto-oggetto.
Quando, infatti, la felicità o la soddisfazione di una persona non è più raggiungibile tramite una cosa, allora la stessa persona (che da qui chiameremo soggetto) si serve di un’altra persona (che diventerà oggetto). Il soggetto prende in esame il suo obiettivo: economico, lavorativo e/o personale). Si reca nel punto vendita delle sue conoscenze e/o amicizie e comincia a studiarle una ad una. Stila una lista con parametri le loro caratteristiche e le relative forme di pensiero, e alla fine si focalizza sui pro e i contro di ognuna.
La scelta ricade sull’intelligente ma ingenuo. Intelligente perché vede in quella proposta una sua opportunità di crescita: personale che magari aspettava da tanto tempo, e umana perché riconosciuto per quel che vale. Ingenuo, perché mettendo alla base il rapporto di conoscenza o d’amicizia avuto fino ad allora, pone fiduciosamente il suo desiderio nelle mani del soggetto: gesto che segna l’inizio del cambiamento e, purtroppo, strumento dell’effettiva manipolazione.
Il percorso procede senza intoppi.
L’oggetto prescelto vede un miglioramento della sua condizione. Il soggetto continua a plasmarlo in base all’utilità richiesta dal momento, fino a quando l’obiettivo viene raggiunto. Anche se l’oggetto-cosa continua a sentirsi speciale e fondamentale per il progetto, è giunta la sua data di scadenza. Se prima era utile, adesso è diventato un impiccio da scartare.
Quello che sfugge al soggetto è che il suo oggetto ha l’essenza di individuo (e non di cosa materiale e/o imprecisa). Come tale è capace di pensare, di parlare, di essere attivo e di incontrare altri individui, che lo trattano come essere e non come cosa, e che invece di usarlo, lo aiutano a identificarsi e a realizzarsi. È da qui che l’individuo-oggetto comincia a capire e a riplasmarsi. Da una parte, con il dispiacere di non poter tornare alla sua forma primordiale. Dall’altra, con la consapevolezza di ciò che è reale e con la comprensione del fatto che per quanto poteva pensarsi complice, era solo l’utilizzato.
I prodotti di consumo oggi ci permettono di non essere invadenti né noiosi. Ci assicurano che ci devono tutto e non vogliono nulla in cambio. Ci permettono di essere subito pronti per l’uso, di offrirci una soddisfazione immediata che non richiede né lungo apprendistato, né un risparmio prolungato: essi ci gratificano senza indugi. Ci giurano con la mano sul cuore che sapranno accettare il momento in cui perderanno i nostri favori e che quando il loro tempo sarà finito ci lasceranno tranquillamente senza proteste, astio o rancore. Ne consegue un altro attributo che un ‘oggetto di consumo’ deve avere: una postilla al suo certificato di nascita che dichiara ‘destinazione finale: pattumiera’. Lo scarto è il prodotto finale di qualsiasi azione di consumo. “. . . “. Solo lo scarto tende a essere (ahimè) solido e durevole. ‘Solidità’ è ormai sinonimo di ‘scarto’.
In questo passaggio di Vita Liquida Bauman traduce la morale di quanto riportato sopra. L’essere umano non potrà mai essere una cosa. Nel momento in cui un solo individuo prova ad utilizzarlo come tale, dovrà stare attento a quello che ne deriverà. Infatti, alla fine del suo utilizzo, ne rimarrà lo scarto, ovvero qualcosa che resta solido, non scorre, non viene dimenticato.
La colpa non è essere scartati, bensì l’essere pensati da un soggetto come una cosa, ovvero come un oggetto che va utilizzato. La colpa non è mai di chi ci mette il cuore, ma di chi prende quel cuore, lo manipola, lo usa e lo getta senza scuse. Solo perché non né ha più bisogno. Dimenticando che quel cuore, nonostante tutto, continuerà a battere, perché appartiene ad un essere vivo, che anche se ferito, rimane animato.