E così, alla lunga, il vecchio Tea Party repubblicano sta facendo scuola sul fronte opposto, fra i nuovi progressisti democratici. In entrambi i casi, a scatenare le passioni, c’è voluto un presidente intensamente odiato e ritenuto pericoloso.
Il movimento del Tea Party aveva ottenuto dei risultati importanti con le sue tattiche politiche e organizzative. Galvanizzato dalla radicale ostilità a Barack Obama, da una parte aveva mobilitato gli elettori più conservatori e arrabbiati, li aveva portati a riunioni e manifestazioni – e infine alle urne. Dall’altra aveva agito sui rappresentanti eletti, controllandoli sistematicamente e se del caso aggredendoli alla base del sistema, nei loro collegi, fra gli elettori, durante assemblee e incontri locali, nei town hall meetings – insomma là dove i rappresentanti del popolo vanno per mantenere i contatti con il popolo e per cercare di non perdere il posto.
I Tea Party avevano spaventato molti legislatori democratici, perseguitandoli ai limiti dello stalking nelle loro uscite pubbliche. Ma soprattutto avevano lavorato sui repubblicani, a loro più vicini. Li avevano spinti a votare in un certo modo, a rallentare o bloccare le politiche dell’amministrazione Obama, a non fare compromessi con i democratici. Avevano minacciato da destra i legislatori repubblicani che non sembravano in sintonia con loro, sfidandoli nelle primarie di partito con candidati più conservatori. Avevano così contribuito a plasmare il dibattito politico nazionale, favorendo i successi immediati dei repubblicani negli stati e alla Camera e infine, su un periodo più lungo, al Senato e alla Casa bianca.
Questo, esattamente questo, dovrebbero fare anche i democratici, dicono molti progressisti. Dovrebbero sentirsi galvanizzati e non depressi dalla radicale ostilità a Donald Trump. E sembra che comincino a farlo, agendo localmente alla base del sistema politico. Contano sull’energia e sui contatti associativi lasciati in eredità dalla campagna di Bernie Sanders e da più recenti manifestazioni di protesta come la grande marcia delle donne del 21 gennaio scorso. Contano anche su reti organizzative preesistenti tipo il Working Families Party che si muove sui confini, dentro i fuori il partito democratico. Anche in questo caso, come in quello del Tea Party, pare che le donne abbiano un ruolo importante di leadership.
Come ai tempi del Tea Party, il tema più sentito nelle discussioni e negli scontri nei meetings locali è di nuovo Obamacare: allora era in ballo la sua approvazione, ora l’abrogazione. Ma ci sono altri temi caldi che come Obamacare hanno un impatto diretto sulla vita delle persone e delle comunità, per esempio la politica scolastica o ambientale, le leggi sull’immigrazione. Su queste cose i nuovi militanti cercano di spingere i repubblicani più moderati a prendere le distanze dall’amministrazione. Ma soprattutto cercano di convincere gli eletti democratici a unirsi a quella che chiamano “la resistenza” senza compromessi a Trump – minacciando in caso contrario di sfidarli da sinistra alle prossime primarie.
E’ una lotta per l’anima del partito, si dice in questi casi.
L’organizzazione Indivisible è quella che più chiaramente propone un programma di azione basato sul modello del Tea Party: come ostacolare l’agenda presidenziale e influenzare il dibattito in Congresso partendo dal basso. I suoi fondatori la sanno lunga in materia perché sono tutti ex staffer progressisti di senatori e deputati, hanno visto i Tea Party all’opera, conoscono dall’interno la macchina del consenso, sanno ciò che motiva i politici (“rielezione, rielezione, rielezione”) e ciò che dà loro fastidio (essere contestati in pubblico con domande aggressive). Hanno quindi messo online (qui) un manuale di istruzioni per l’uso molto dettagliato. Che è diventato virale, scaricato da 2 milioni di persone. E ha portato alla formazione di quasi 6.000 gruppi di corrispondenza in tutto il paese.
Indivisible: A Practical Guide for Resisting the Trump Agenda suggerisce una serie di tecniche che ricordano quelle di Saul Alinsky (qui) nel suo classico pamphlet Rules for Radicals – un testo che i Tea Party avevano in effetti adottato. Spiega come prendere di mira il vostro deputato o senatore, amico o nemico che sia, e metterlo con le spalle al muro; come costringerlo a fare i conti con voi e i vostri argomenti; come intasarne l’ufficio o l’indirizzo email o il centralino telefonico; come organizzare gruppi di disturbatori e intervenire in ogni evento pubblico, ogni volta che mette fuori il naso – diffondendone poi i video più imbarazzanti. La lotta è tutta pensata in chiave difensiva: ostacolare, ostruire, non sviluppare politiche alternative. L’idea non ci piace, dice il pamphlet, ma è così, non c’è niente da fare.
“La dura verità dei prossimi quattro anni è che non saremo noi a decidere l’agenda; Trump e i repubblicani lo faranno, e noi dovremo rispondere”.