Da qualche mese i social network Albicla e Hundub promettono di far circolare liberamente idee di estrema destra. La rete è l’ultimo grande ostacolo alle svolte autoritarie?
Il paradosso
Per i governi di Polonia e Ungheria c’è poca libertà di espressione.
Albicla e Hundub, uno polacco e l’altro ungherese. Sono i due social network che (da qualche mese) sono stati sviluppati in questi due paesi europei per “difendere la libertà di espressione”. Difenderla, sì(?), ma dalla parte del dibattito politico più vicina ai governi e lontana dai social tradizionali. Le piattaforme vogliono infatti garantire la libera circolazione delle idee di estrema destra razziste, xenofobe e omofobe, senza il filtro di social come Facebook e Twitter.
Nei primi mesi dell’anno, i governi di Orbán e Morawiecki avevano criticato le piattaforme statunitensi, chiedendo che tutti i contenuti, anche razzisti, fossero permessi. Per il primo ministro polacco “Gli algoritmi o i proprietari di big tech non dovrebbero decidere quali opinioni siano corrette e quali no”.
Qualcosa di già visto
Le critiche del premier polacco arrivavano in seguito al ban di Trump da parte di Twitter del gennaio 2021. L’episodio aveva costituito una chiara e decisa presa di posizione da parte di uno dei social network più importanti. Questo aveva portato alla “migrazione” sul social network statunitense Parler degli utenti soliti pubblicare contenuti controversi. Creata nel 2018, la piattaforma ha visto il suo picco di utenze proprio nelle settimane successive alle elezioni statunitensi del 2020. La quasi totale assenza di moderazione sul social aveva però spinto Apple a rimuovere Parler dall’App Store, seguita da Google e Amazon. Il social sarebbe stato inoltre una base per l’organizzazione dell’attacco al Campidoglio di gennaio 2021.
Albicla e Hundub sono stati sviluppati con la medesima intenzione, ma al momento contano ancora poche migliaia di utenti. Al contrario, la popolarità dei social network tradizionali è ancora solida, con la maggioranza dei cittadini polacchi e ungheresi iscritti ad essi.
I social “liberi” sono ancora indietro dal punto di vista tecnologico, e non hanno nulla a che vedere con i colossi statunitensi. Le nuove piattaforme, infatti, metterebbero a rischio i dati degli utenti, oltre a garantire agli hacker un accesso non troppo complicato.
Le vere (grandi) mancanze delle big tech
Facebook e Twitter sono stati in questi ultimi anni teatro di disinformazione, non riuscendo sempre a contrastare fake news e contenuti controversi nel modo migliore. Un esempio è il caso Cambridge Analytica. Durante le elezioni vinte da Trump, Facebook ha permesso una fuga di dati dei suoi utenti. Questi dati sono poi serviti a società terze per profilare gli utenti, al fine di raggiungerli con le fake news più adatte al loro modo di vedere il mondo.
Nonostante ciò, i colossi si stanno impegnando per risolvere le controverse questioni dei dati e delle fake news, anche grazie all’intervento (forse tardivo) di normative europee.
I governi con ambizioni autoritarie agiscono su media, istruzione e contro le opposizioni. Un social per diffondere le idee di estrema destra senza limiti sarebbe un passo importante per un controllo capillare. L’intervento in un campo vasto e incontrollabile come la rete è tuttavia complicato, e sembra l’ultimo grande ostacolo ad una propaganda totale. Anche se tentativi del governo di censurare e indirizzare il dibattito sui social non sono mancati.
In Ungheria il caso di János Csóka-Szűcs, membro dell’opposizione trattenuto e interrogato per un post Facebook contro Orbán, suggerisce che il pericolo di libertà di espressione esiste, rendendo il paradosso ancora più curioso.
Da una parte un ban, dall’altra il carcere. Una “piccola” differenza.
Emanuele Di Casola