Un ponte semiotico tra l’iconografia e l’iconologia

Un ponte semiotico

L’iconografia e l’iconologia, il valore semiotico del ponte, l’importanza di queste discipline nell’antichità e nei dibattiti tra le correnti di studio più recenti. Nel libro di Piero Polidoro, Che cos’è la semiotica visiva, si affrontano queste discipline e il loro intreccio. Di seguito vedremo alcuni aspetti e comunanze tra l’iconografia e l’iconologia e daremo alcune nozioni di carattere storico e teorico. Inoltre vedremo in che modo queste discipline si rapportano alla semiotica, attraverso i concetti di alcuni autori importanti.

Iconografia

Il termine “iconografia” indica quella disciplina atta a descrivere il modo in cui la pittura rappresenta dei temi ricorrenti. Ci sono dei segni evidenti, precisi, in certe immagini che permettono il riconoscimento di un personaggio, grazie a una standardizzazione operata e tramandata dagli artisti. Del resto, grazie all’iconografia la chiesa ha potuto “istruire” anche la parte meno colta del popolo, che poi era quella che prevaleva un tempo:

«In una società in cui la stragrande maggioranza della popolazione era analfabeta, il modo più semplice per raccontare le vicende religiose (e la morale connessa) era attraverso la pittura. Questa però richiedeva l’uso di un codice molto preciso e conosciuto» (Polidoro,2010, p.22)

Si è iniziato a studiare l’iconografia (più precisamente quella cristiana) intorno al XVl e XVll secolo, per poi affermarsi ed essere studiata sistematicamente, però, solo nell’Ottocento.

Polidoro ne sottolinea la funzione e l’importanza, perlomeno su un registro liturgico, immaginando un confronto coi nostri tempi:

«Un contadino medievale, entrando in una chiesa per la messa domenicale, avrebbe facilmente potuto comprendere le storie raccontate nei diversi affreschi, perché avrebbe riconosciuto senza troppe difficoltà i personaggi rappresentati. Probabilmente conosceva l’iconografia sacra molto meglio di una persona istruita dei giorni nostri» (ibidem)

Gli artisti alle prese con le sacre scritture pescavano dalla Bibbia, dalla biografia dei santi, ma anche da tradizioni e leggende tramandate oralmente. Pescavano anche dalle opere degli artisti che li avevano preceduti. Il loro obiettivo era quello di riproporre nei dipinti degli invarianti, affinché lo spettatore potesse più facilmente identificare il personaggio rappresentato. Questi invarianti, comunque, non servono solo al riconoscimento e all’ identificazione dei personaggi e delle storie, ma sono molto utili anche per capire il periodo storico e la provenienza geografica di un’opera.
Ovviamente l’iconografia non è materia esclusiva di soggetti cristiani, ad esempio anche la mitologia classica è stata fonte preziosa di ispirazione per i pittori nel tempo. Ad essere codificati, col fine di rappresentare situazioni ed emozioni, vi sono stati anche concetti astratti (le virtù, le qualità dell’animo umano, le scienze, le arti), gesti ed espressioni del viso.

Nonostante vi sia una scarsa diffusione della conoscenza iconografica, alcuni tipi iconografici resistono e plasmano anche la nostra cultura:

«E’ per una convenzione diffusasi nell’alto medioevo che identifichiamo un uomo con l’aureola come un santo» (ivi, p.24)

C’è anche chi, come il semiologo Jean-Marie Floch, fa notare come alcuni artisti del 900 abbiano inserito nelle loro opere dei temi e dei motivi in grado di mettere in risalto un collegamento stabile. Ad es. in Kandinsky la lotta fra il bene ed il male è rappresentata dallo scontro fra i cavalieri, mentre la candela, nelle opere di Immendorf, rimanda al pensiero libero. Il Babbo Natale che tutti conosciamo ha ricevuto le sue caratteristiche  (vestito rosso e barba bianca) ed i suoi attributi (sacco dei regali e renne) durante l’Ottocento, allo scopo di illustrare cartoline di auguri e campagne pubblicitarie. Icone dei giorni odierni, ad esempio, sono James Bond (con il suo smoking, la sua pistola e la sua posa) o il cantante hip hop (ragazzo di colore che veste indumenti larghi e indossa gioielli e collane).

Iconologia

Se l’iconografia tende a descrivere un certo tema della tradizione sacra o profana, attraverso la costruzione di inventari che corrispondano a un certo insieme di motivi (oggetti, gesti, esseri umani riconoscibili nei dipinti), l’iconologia prova ad andare oltre questi limiti, assumendosi il compito di ricavare dalle immagini una storia delle idee. Il primo che ha provato a tracciare la differenza tra le due discipline è stato Erwin Panofsky negli anni 30. Panofsky propone l’iconologia come disciplina atta a scoprire il significato intrinseco nelle raffigurazioni.

Le immagini, dunque, secondo questo autore contengono elementi che possono essere studiate in quanto valori simbolici. Non si tratta più di riconoscere temi ricorrenti dell’arte pittorica, ma di cogliere una visione del mondo che anima un certo periodo storico, un certo stile, un certo autore. Ad esempio, gli artisti medievali e quelli rinascimentali hanno rappresentato in modo diverso i temi classici. L’iconologia è utile per capire non solo il perché ci sia stato questo cambio di rotta, questa trasformazione, ma anche quali mutamenti culturali le corrispondano.

Un ponte semiotico

Ci sarebbe poi il confronto di queste due discipline con la semiotica. A riguardo credo sia utile segnalare il dibattito che verte tra chi sostiene che le due discipline vadano accorpate alla più vasta semiotica (Eco) e chi, invece, rifiuta questa sovrapposizione, facendo notare che iconografia e iconologia sono discipline di natura storica (Calabrese), mentre non si può dire lo stesso della semiotica, che tende a descrivere e spiegare sistemi sincronici:

«In altri termini: nel primo caso a prevalere è l’attenzione per l’evoluzione di un elemento e le sue cause, nel secondo è quella per il rapporto che esso instaura con le altre parti del sistema» (ivi, p.27)

L’impostazione “lessicalista” dell’iconografia ha suscitato anche la disapprovazione dei semiologi di stampo greimasiano. La critica proveniente da questa parte della semiotica considera il fatto che l’approccio lessicalista dell’iconografia tende a ridurre il significato delle composizioni artistiche a una semplice sommatoria di temi che possono descriversi anche verbalmente.
Un contributo importante, volto a fare chiarezza su questo intreccio di discipline, su questo rapporto, ci viene da Omar Calabrese (1985b). Questo autore, dopo un’attenta analisi di un corpus di dipinti, nota che il ponte, a livello semiotico, si presenta in almeno tre aspetti:

1- congiunzione e disgiunzione degli elementi
2- demarcatore
3- correttore di isotopie

Un ponte in un quadro congiunge e separa, è dunque in grado di mettere in comunicazione due elementi della narrazione, come anche di separarli.
Il ponte è un demarcatore, perché su un registro visivo è in grado di incarnare il punto di passaggio da una parte all’altra del testo. Un passaggio che può essere a livello spaziale (quindi il ponte indica il passaggio da un qui a un altrove), temporale (il ponte è collocato in due spazi in cui avvengono scene che propongono momenti differenti), ma anche timico o disforico.
Il ponte è anche un correttore di isiotpie perché nei dipinti è solito porsi come un elemento che incarna più categorie (da elemento figurativo può congiungere due luoghi nello spazio, da elemento visivo si trova tra due aree diverse nella superficie del dipinto).

L’individuazione del ponte come elemento che può presentarsi in questi  3 modi  ha fatto sì che si individuassero anche altri oggetti con la stessa caratteristica e funzione:

«Un sentiero, un albero messo di traverso, o addirittura un gregge di pecore in fila. Ovviamente non tutti i motivi potranno incarnare la funzione ponte, perché dovranno comunque essere presenti certe caratteristiche figurative e visive» (ivi, p.29)

Il ponte, in una prospettiva semiotica (che non si limita dunque alla sola iconografia), oltrepassa la forma e permette una maggiore attenzione alle strutture narrative. Nel caso del ponte, dunque, l’iconografia si sarebbe invece limitata a tracciare le diverse occorrenze figurative e a rilevarne il significato convenzionale. Grazie alla semiotica, invece, può essere riconosciuto in testi diversi e sotto forma di altre varianti figurative.
Non ci spingeremo a decretare se l’iconologia e l’iconografia vadano accorpate alla semiotica oppure no, ma certamente possiamo concludere dicendo che lo studio della semiotica può diventare un tassello importante, un contributo ulteriore  alla ricerca iconografica e iconologica.

Alfonso Gabino

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