Un passo dopo l’altro: storie di resilienza raccontate da Lorenzo Tosa
Limpido e scorrevole, come solo il linguaggio di un autore e giornalista sa essere. Soprattutto se in grado di analizzare la realtà. E Lorenzo Tosa, nel raccontare la realtà, non si è mai risparmiato, riflettendo sulle storie che accadono intorno a noi, anche quelle che nessuno vuole sentire. E’ questo il segreto di “Un passo dopo l’altro”, storie di vita reale racchiuse nei capitoli del viaggio letterario di Lorenzo Tosa.
Capitoli che si susseguono e s’intrecciano tra loro, come fermate di un treno che viaggia sul binario del tempo, tra passato e presente, tra il ricordo e l’attualità. E’ lo stesso treno che ha preso Tosa quando ha deciso di mettersi in viaggio per il nostro paese e raccontare storie dell’Italia che resiste, nonostante tutto. Storie celebri, storie discusse, altre meno rinomate e altre ancora inaspettate. Eppure, tutte inscindibilmente legate da immensa umanità e straordinaria resilienza.
Luciana e Liliana
Le protagoniste del primo passo di Lorenzo Tosa non hanno bisogno di introduzione. Sono Luciana Sacerdote e Liliana Segre. E’ una domenica di fine maggio del 1960 e le due donne si trovano sedute l’una di fronte l’altra al tavolo di un ristorante. Un rituale che compiono ogni volta che ne hanno l’occasione, omaggiando la promessa fatta tempo prima, prigioniere di un campo di concentramento dal quale non sapevano se sarebbero uscite vive. Avere un menù tra le mani è un desiderio che per lungo tempo ha animato le loro menti ed i loro giovani corpi scarni. Mentre scorriamo le pagine di Tosa, il ricordo delle loro vite diventa così apodittico e reale da materializzarsi davanti ai nostri occhi, come se volesse scuotere i nostri sentimenti per resuscitare in noi qualcosa di più toccante della mera compassione: il dolore.
Le raparono a zero, una dopo l’altra, come ingranaggi di una catena di montaggio dell’orrore che si concludeva con l’ultima, più feroce, umiliazione: il tatuaggio. Le disponevano in ordine alfabetico, e, a ripensarci oggi, quella fu anche l’ultima volta, nei successivi sedici mesi, che qualcuno le chiamò per nome.
Mailuna
Arrivata in Italia dal Senegal, anche Mailuna conosce bene il dolore. Ne fa esperienza di continuo, come se la perpetua sofferenza debba essere il prezzo da pagare per sopravvivere in questo paese. L’ha conosciuta in tutte le sue forme. L’ha conosciuta quando è stata lasciata in mezzo alla strada, ogni volta che è stata trattata come una prostituta, per ciascun insulto ricevuto sulla spiaggia mentre camminava chilometri sulla sabbia scottante per lavorare. Mailuna è una sopravvissuta al razzismo impunito di questo paese, alle discriminazioni che in quanto donna straniera non ti riesci a scrollare di dosso. Per una volta, grazie alle pagine che Tosa dedica alla storia di Maluna, siamo costretti a vedere il distacco sociale alla quale è stata costretta da un’altra prospettiva: la sua.
Chiara, la donna che legge libri agli sconosciuti
Chiara è una lettrice vis à vis e questo mestiere se lo è inventato lei stessa. Il racconto a lei dedicato inizia con una poesia di Bukowski che l’autore di Un passo dopo l’altro ha potuto ascoltare nell’appartamento di Torino dove Chiara vive.
I passi che la protagonista ha dovuto compiere per arrivare a fare quello che fa ora, come scrive Tosa, non sono altro che “una mappa caotica di infinite strade che sono diventate vicoli ciechi o sentieri”.
Silvia e Armando
Non potrebbero essere più diversi i protagonisti del passo che intreccia la vita di Lorenzo Tosa a questi due sconosciuti, passeggeri accanto lui di un treno timidamente affollato, poco dopo la riapertura dal periodo di lockdown. Armando è uno di quelli che della mascherina non ne vuole proprio sapere, Silvia deve sposarsi. Una distanza ideologica che emerge immediatamente dai dialoghi riportati da Tosa e causa uno scambio di opinioni simile ad un diverbio che si conclude nel più inaspettato dei modi, come nella scena di un film. Una scena di cui Lorenzo Tosa, in viaggio verso Riace, diventa sceneggiatore.
Mimmo e Jasmine
Domenico Lucano, sindaco del comune di Riace, per tutti semplicemente Mimmo. Il fautore di un sistema di accoglienza senza eguali, un modello di umanità e condivisione grazie al quale le strade di Riace sono tornate a vivere. Un modello che ha aiutato persone provenienti da luoghi e condizioni infernali e ha ispirato altrettante persone a farne parte. Come Jasmine Cristallo, che da qualche anno a questa parte ha conosciuto la realtà umana, sociale e collettiva di Riace ed ora è un’attivista politica.
Riace è un esperimento all’avanguardia fatto da persone e destinato alle persone. Eppure non sempre la cosa migliore è quella giusta, almeno non sulla carta. Per questo, Riace si è trasformata nel simbolo della presunta cattiva gestione di Mimmo Lucano. Accusato di aver speso i soldi dello SPRAR per riportare in vita il frantoio o acquistare macchinari per la produzione di cioccolato. Pazzia? No, un metodo per garantire lavoro alle donne di Riace. Lorenzo Tosa ci mostra da vicino una gestione che ha funzionato e che, come troppo spesso accade in questo mondo al contrario, è stato punito dall’esterno, da una politica che non accetta modelli positivi di inclusione e li utilizza per la propria propaganda.
Quella di Riace è essenzialmente una storia femminile, di un matriarcato atipico che accomuna, in un filo invisibile, le donne migranti prive dei loro uomini e le donne calabresi rimaste a casa con i figli mentre i loro mariti partivano in cerca di fortuna.
Elena
Quelli di Elena sono passi veloci, mossi sull’erba dei campi da calcio nei quali corre con i tacchetti scelti con rigore e cura. L’amore e la dedizione per questo sport glieli ha insegnati suo padre. Si tratta di Elena Linari, difensore della Nazionale di calcio femminile. Le pagine che la riguardano raccontano una storia di impegno e sudore per sfidare pregiudizi e stereotipi, ma mostrano anche una storia di sentimenti e di coraggio nel rivendicarli.
Daniele
Con l’emergere improvviso dell’epidemia Covid-19, siamo stati abituati alla narrazione dei medici – eroi, imperturbabili figure contro un male inaspettato e sconosciuto. Ma il dottor Daniele Macchini, chirurgo generale dell’ospedale Humanitas di Bergamo, sa bene che non è così. Tosa racconta la sua realtà, la storia di un medico che si è ammalato di Covid. Descrive la frustrazione di un professionista che non può aiutare i suoi colleghi nel momento più difficile della pandemia. E la vulnerabilità di un padre che, costretto all’isolamento, non può abbracciare suo figlio.
Un passo dopo l’altro: l’Italia che resiste, nonostante tutto
Forse proprio nella vulnerabilità si nasconde il filo rosso che lega le persone di cui “Un passo dopo l’altro” racconta le storie, intrecciando il passato con il presente. Passi di vita reale che si susseguono tra i capitoli di un libro in grado di commuovere, di scuotere, agitare il nostro rammarico e talvolta animare il nostro disappunto. Emozioni necessarie attraverso le quali Lorenzo Tosa riporta alla luce il senso più profondo della parola ‘resilienza’.
Carola Varano