Un milione di specie in via di estinzione: il nuovo report delle Nazioni Unite

Specie

Un nuovo rapporto delle Nazioni Unite conferma ciò che da anni si paventa a più riprese: un milione di specie sono a rischio estinzione, a ritmi crescenti e inarrestabili.

Le Nazioni Unite, nell’ultimo rapporto globale, attribuiscono la responsabilità alla scellerata attività umana. Deforestazione, sovrapesca, sviluppo intensivo e altre attività hanno messo a repentaglio la sopravvivenza di un milione di specie. Ciò ha conseguenze anche sull’essere umano. Gli 8.7 milioni di specie viventi che abitano la terra costituiscono una sorta di ‘rete di salvataggio’, fornendo acqua, cibo, aria, energia. In pericolo è la natura, quindi anche l’essere umano poiché da essa dipende e di essa fa parte.




Declino della natura: le responsabilità sono umane

Il report porta anche la firma dell’IPBES, la piattaforma intergovernativa per la politica scientifica sulla biodiversità e i servizi ecosistemici, che ha quale obiettivo conclamato quello di fornire ai governi, al settore privato e alla società civile valutazioni scientifiche attendibili e indipendenti, aggiornate rispetto alle conoscenze disponibili così da permettere ai decisori di agire a livello locale, regionale e internazionale sulla base di considerazioni informate e consapevoli.

145 autori esperti provenienti da 50 paesi sono stati coinvolti nel valutare lo stato della biodiversità del pianeta, assurgendo a 15.000 fonti scientifiche. Lo studio, portato avanti per 15 anni, per la prima volta non si è basato soltanto sulle conoscenze scientifiche, ma ha tenuto conto anche delle conoscenze indigene e locali.

Tutti gli autori convengono nell’affermare la responsabilità umana che sta alla base del declino della natura: la conversione del territorio, compresa la deforestazione; la sovrapesca; la caccia per la bush meat e il bracconaggio; i cambiamenti climatici; l’inquinamento e le specie aliene invasive. Da quanto emerge nel report, il 75% delle terre emerse è stato alterato dall’attività umana, insieme al 66% degli oceani. Sono state individuate 400 zone morte, ossia ampie aree dove pochissima vita può sopravvivere.

Politiche e azioni di sostenibilità ancora insufficienti

La valutazione conclude che i contributi della natura alle persone sono di fondamentale importanza per una buona qualità della vita, ma non sono uniformemente vissuti da persone e comunità all’interno della regione, e sono minacciati a causa del forte declino della biodiversità. Mentre le politiche e le azioni di sostenibilità e conservazione hanno contribuito a invertire alcune delle tendenze negative della biodiversità, questo progresso rimane insufficiente.

“Le valutazioni regionali dimostrano ancora una volta che la biodiversità è tra le risorse più importanti della terra – afferma José Graziano da Silva, Direttore generale FAO – la biodiversità è anche la chiave per la sicurezza alimentare e la nutrizione. Il mantenimento della diversità biologica è importante per la produzione di cibo e per la conservazione delle basi ecologiche da cui dipendono i mezzi di sostentamento rurali.  La biodiversità è seriamente minacciata in molte regioni del mondo ed è ora che i responsabili politici agiscano a livello nazionale, regionale e globale”.

Ribaltare la società per la salute del pianeta

Il processo può diventare irreversibile se la salute del pianeta non diventa prioritaria. Per garantire la salute del pianeta, la società deve ribaltare i suoi obiettivi, conclude il report. I Paesi sono chiamati a comprendere la natura nel proprio sviluppo, ponendo la crescita economica in secondo piano.

Alla luce dei dati raccolti da IPBES, emerge che le aree del pianeta maggiormente in salute sono quelle gestite dalle comunità locali e dalle persone indigene, mentre le aree più sofferenti sono quelle gestite dalle istituzioni nazionali o aziendali.

Nel report, si suggerisce di investire da subito in ripristino della natura, designando nuove riserve e avviando programmi di riforestazione. Un ribaltamento dei valori: natura, ecosistemi, equità sociale piuttosto che PIL.

Giulia Galdelli

 

 

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