Un film sulla vita di Ezio Bosso: ci voleva proprio!

La vita di Ezio Bosso

https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0/

Alla mostra del cinema di Venezia di quest’anno è stato presentato fuori concorso il documentario sulla vita di Ezio Bosso: Le cose che restano

La prima del film sulla vita di Ezio Bosso, presentato lunedì scorso al Festival di Venezia,  si terrà il 13 Settembre, giorno di quello che sarebbe stato il suo cinquantesimo compleanno, a Torino, la città dove è nato.  
Il regista, Giorgio Verdelli, ripercorre la vita del maestro in 104 minuti: gli inizi, il prima e il dopo la malattia, la popolarità e ovviamente la musica. 

 “In ogni cosa che abbiamo scovato, documentato, c’è sempre questo messaggio: la musica soprattutto, nonostante tutto, la perseveranza, la tenacia, il talento esercitato ad ogni costo. Spero sia di riferimento per i giovani, quelli che vogliono lavorare nella musica ma in generale per tutti. La storia di Bosso ne è un esempio”.

 




Non ho visto ancora il documentario in questione, ma sono assolutamente convinta che andava fatto. La vita di Ezio Bosso ha davvero un lascito immenso e non solo a livello musicale, ma soprattutto umano e deve essere diffuso il più possibile.

La Magnificenza

Lo sentii parlare per la prima volta in una trasmissione tv di cui era conduttore. Era già malato da tempo e ammetto che rimasi sorpresa nel vedere una persona palesemente debilitata condurre un programma televisivo. Nel giro di un minuto fui catapultata nella sua magnificenza, completamente rapita ed estasiata dalle straordinarie esecuzioni musicali e dalla passione che trasbordava dalla sua fisicità e dall’amore con cui spiegava al pubblico ogni brano eseguito (erano brani famosi di grandi autori di musica classica). Ricordo che mi venne la pelle d’oca. Trassi molti insegnamenti da quello che diceva e dalla sua figura e da allora mi documentai su di lui e cercai di seguire quanto più possibile le sue interviste e apparizioni nei media.

La Società Ideale 

Mi colpì molto una sua intervista in cui spiegava il ruolo del maestro d’orchestra. Spiegò che doveva prendersi cura e conoscere profondamente le problematiche di tutti i componenti, cioè doveva sapere se un fagotto non avesse più fiato, o quando un braccio potesse essere spinto di più o di meno. Tutto nel rispetto della partitura che lui definiva essere la costituzione degli orchestrali. Infatti, riteneva che l’orchestra fosse la società ideale, in cui ognuno è obbligato ad ascoltare il suo vicino. Una società che si migliora con l’ascolto dell’altro. Spiegava che in musica si studia ore ed ore non per essere il migliore, ma per migliorare, il miglioramento di uno, farà suonare meglio anche gli altri componenti dell’orchestra e questo spingerà ognuno verso una continua ricerca di miglioramento. E con queste affermazioni svelava la natura inclusiva della musica: tutti mettono un contributo ad andare oltre. Notai con stupore che queste parole, come la sua musica, avevano un suono angelico.

Essere Speciale

Ovviamente, più di una volta mi sono chiesta perché la vita di Ezio Bosso, di un essere così speciale, gli avesse riservato tanto dolore e tanta limitazione, perché proprio a lui che riusciva a dare così tanto, in modo così semplice. La risposta che mi do in questi casi è sempre la stessa. Quando il disagio e la sofferenza di un essere umano arrivano ad assumere forme plateali, la vita in questione mi sembra assolvere celatamente un compito sacro, una missione altissima: il cambiamento delle coscienze.  Lo sviluppo e la diffusione della compassione in questo mondo è una grande segno di evoluzione e chi riesce in questo intento, per me,  ha sempre qualcosa di sovrannaturale e può riuscirci solo grazie alla natura discreta, ossia di difficile comprensione, o segreta che delinea tutti i “progetti” di tal genere. 

Non mi dilungo oltre sula vita di Ezio Bosso perché spero che la curiosità possa spingere molti tra coloro che ancora non lo conoscono ad andare a vedere il film su di lui. Sarà nelle sale il 4 il 5 e 6 Ottobre, credo ostinatamente che ne valga la pena. 

Veronica Sguera

 

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