Da ragazzino, mio nonno che faceva il commissario di bordo sui piroscafi in rotta per l’America, mi raccontava che gli Stati Uniti erano il paese dell’uguaglianza, in cui i poveri ma dalla mente ricca d’inventiva, avevano le stesse opportunità di un figlio di papà di diventare milionari come il Signor Bonaventura, mio idolo del Corriere dei Piccoli. Non solo, il nonno mi narrava che laggiù anche un vagabondo poteva diventare Presidente.
Ci ripensavo leggendo che, per contrastare quel Paperon de’ Paperoni dalle piume d’oro di Trump, è sceso in campo per i democratici Michael Bloomberg, il re delle news finanziarie, che di vagabondo ha men che zero, essendo il nono miliardario al mondo. L’ex sindaco di New York, infatti, è una delle 26 persone più ricche della Terra che possiedono tanto quanto la metà della popolazione globale, pari a quasi 4 miliardi di esseri umani.
Dov’era finita la mitica uguaglianza con cui mio nonno fomentava i miei sogni d’onnipotenza infantile? L’altra era di diventare Papa, ma visti gli spericolati investimenti alla Bloomberg della banca vaticana, compreso l’aver finanziato un film su Elton John, -oltre al fatto che a sessant’anni non sono ancora neanche diventato prete-, anche questa direi che purtroppo è sfumata.
La disuguaglianza, dicevo, è un fenomeno mondiale devastante, paragonabile all’apocalisse climatica: i portafogli si sciolgono come i ghiacci nelle nostre tasche e i soldi evaporano. A una percentuale minima di gente alla Bloomberg, pari all’1% del genere umano, i soldi invece si ibernano nei caveau in monumentali iceberg d’oro, destinati alla loro progenie da qui all’eternità. Mentre noi, imperterriti, continuiamo a sventolare la bandierina della Rivoluzione francese e a scandirne le tre sacre parole: Libertà, Uguaglianza, Fraternità. Ce n’era anche una quarta, veramente: “O Morte”. Ma fu bandita perché richiamava il Terrore.
Due secoli e rotti dopo, i terrorizzati siamo noi. Libertà e fraternità sono parole che mastichiamo almeno un po’. Di uguaglianza, invece, questa bella sconosciuta, conosciamo soltanto il suo contrario: le disuguaglianze che vediamo spuntare in tutti i campi come bacche velenose.
Martín Caparrós, scrittore argentino, ne ha parlato di recente sull’edizione spagnola del New York Times. «La maggior parte dei benpensanti che manifestano contro la disuguaglianza non propone l’uguaglianza», scrive, «ma non è chiaro che cosa proponga. C’è chi parla di “pari opportunità”: l’idea che ognuno abbia le stesse opzioni di partenza. È ovvio che non è possibile: i ricchi hanno infinitamente più opportunità dei poveri. Molti, quindi, si rifugiano in una specie di buonsenso: facciamo in modo che non ci sia così tanta disuguaglianza. Il loro obiettivo non è l’uguaglianza, ma la moderazione. Il problema è: cosa è tollerabile e cosa no? Che tutti abbiano accesso ai servizi sanitari, anche se alcuni hanno le migliori cure immediate e altri devono aspettare tre mesi per fare una visita? Che tutti mangino, anche se alcuni hanno il salmone e gli altri lo stufato grasso? Che tutti abbiano accesso all’istruzione, anche se alcuni sanno quattro lingue e altri fanno fatica a capire il giornale?…».
Personalmente credo che definire un contrario della disuguaglianza che ci mettesse tutti d’accordo sarebbe già un risultato straordinario. Per me, poi, sarebbe come se mio nonno, buonanima, riapparisse uguale-uguale sulla sedia a dondolo, col frac bianco del Salone delle Feste del Rex, il mitico transatlantico dei suoi racconti. Il mio preferito era quello del simpatico, sventurato serpentello verde, una biscia orfana di Palermo (nonno era siciliano) che per errore era finita in una buca delle lettere, il postino distratto gli aveva sferrato una timbrata sulla testa e il serpentello con l’affrancatura era stato spedito via mare in America sul Rex. Il nonno mi assicurava di averlo conosciuto personalmente nella sua cabina, dove si era presentato strisciando a chiedere aiuto per tornare in patria e io, seduto sulle sue ginocchia a bocca aperta con gli occhi spalancati, ci credevo più di quanto oggi riesca a credere a un telegiornale.
A proposito di animali, per i quali provo più fraternità che verso Bloomberg. Giorni fa è naufragato un cargo nel mar Nero, al largo della Romania, provocando la morte di più di 14 mila pecore. Solo 181 sono state salvate.
Sempre recentemente, Donald Trump ha consegnato la medaglia al valore, la più alta onorificenza americana per gli eroi di guerra, al cane Conan, il pastore tedesco che ha partecipato al raid contro il leader dell’Isis, Al-Baghdadi.
Guardando la fotografia che immortala la premiazione del cane-eroe (oltretutto la foto era un fake) ho pensato con tristezza alle 14.000 pecore migranti, povere bestie affogate senza neanche una carezza o un briciolo di notorietà.
Purtroppo, ieri come oggi, la disuguaglianza fra animali non ha mai fatto notizia.