Uganda e diritti umani: non è stato rinnovato l’accordo con l’Ufficio dell’ONU per la difesa dei diritti, poiché ritenuto non più necessario.
Dopo 18 anni di presenza, non è stato rinnovato l’accordo tra l’Uganda e l’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (Ohchr). Il governo ugandese ha dichiarato che la presenza dell’Ohchr non è più necessaria, in quanto negli ultimi anni i diritti umani avrebbero trovato maggiore tutela.
La versione del Ministero degli esteri e della Commissione ugandese per i diritti umani
Secondo il Ministero degli esteri ugandese la presenza dell’Ohchr non è più necessaria perché negli ultimi anni il paese avrebbe assistito a notevoli miglioramenti in tema di diritti umani, grazie all’ impegno nella protezione e promozione degli stessi. Il clima di pace che pervade quasi tutta l’Uganda sarebbe la dimostrazione di tali progressi, sempre a detta del Ministero.
Mariam Fauzat Wangadya, presidente della Commissione ugandese per i diritti umani, ha dichiarato:
“Abbiamo fatto grandi passi avanti nella promozione dei diritti umani e siamo un Paese pacifico. Abbiamo un sistema giuridico ben sviluppato e tribunali funzionali e indipendenti. Abbiamo istituzioni come la mia che controllano gli errori che si verificano e li correggono”.
Ma la situazione è davvero questa? Davvero non è più necessaria la presenza dell’ONU in Uganda?
Una repubblica dittatoriale
Questa definizione ossimorica descrive la forma di stato, ovvero di rapporto tra governanti e governati, attualmente vigente in Uganda. Il sistema prescelto non prevede la presenza di partiti. Dal 1986 il Capo di stato è Yoweri Museveni, di formazione socialista. Quest’ultimo partecipò alle ribellioni che portarono alla caduta del dittatore Idi Amin prima e Milton Obote poi nel 1985. Museveni prese parte alla lotta armata, dopo aver appreso diverse tecniche di guerriglia in Mozambico. Prima di salire al potere lavorò nell’intelligence del governo Obote e fondò la National Resistance Army (NRA), il braccio armato grazie al quale rovesciò definitivamente il governo autoproclamandosi nuovo presidente il 29 gennaio del 1986.
Le politiche di Museveni
Museveni nell’arco di questi trentasette anni ha tentato di stabilizzare il paese promuovendo misure come la privatizzazione di aziende statali o di riduzione della spesa pubblica. Le condizioni dell’Uganda, però, sono migliorate soltanto nella parte meridionale, mentre a settentrione il dittatore ha avuto molte difficoltà nel sedare le ribellioni capitanate da Joseph Kony. Il conflitto contro i ribelli del Nord dell’Uganda si stima abbia causato circa cinquecento mila vittime e ottocentomila sfollati.
Le politiche e le misure di Museveni sembrano essere molto controverse in tema di diritti e libertà. È notoria la sua attività repressiva nei confronti di membri e sostenitori dell’opposizione. Recentemente, nel corso della campagna elettorale in vista delle elezioni del 2021, si sono registrate intimidazioni, forme di detenzione prolungata, sparizioni forzate, azioni penali e l’uccisione di dozzine di persone, come forme di contrasto agli oppositori politici.
Il rapporto tra Uganda e diritti umani
Sempre secondo Amnesty International, nel 2021 l’Uganda ha assistito a notevoli restrizioni in tema di diritti e libertà. La libertà di espressione ha subito forti limitazioni, con un blocco di internet e di social come facebook, accusato da Museveni di interferire con le elezioni. Inoltre, nell’ambito di una legge contro la violenza sessuale, il governo ha scelto di criminalizzare i rapporti tra persone dello stesso sesso, mostrando le avversità del dittatore nei confronti della comunità Lgbt.
Un’altra attività molto controversa è quella degli sgomberi forzati. Esistono molte testimonianze della violenza della polizia nei confronti degli sgomberati. Questi sfratti imposti servivano in varie zone strategiche del paese, in modo da lasciare spazio agli affari e agli interessi di imprese straniere. Un esempio è l’azienda norvegese Green Resources che ha occupato circa ottomila ettari di terreno per produrre legna da esportare. Tale concessione permessa dal governo ha causato l’invasione e la perdita per parte dei contadini della zona, della terra che hanno coltivato per decenni. Quelle comunità, secondo la normativa ugandese, avrebbero diritto a quei terreni, ma non essendo a conoscenza delle proprie prerogative e di come farle valere, subiscono veri e propri soprusi.
Caos e pericoli per i diritti umani
Sebbene negli ultimi venti anni ci sia stato un notevole miglioramento dell’economia ugandese, non vi è stata un’effettiva redistribuzione, causando un incremento delle disparità sociali. Tra il 2020 e il 2022, anche a causa del covid e del ritorno dell’ebola in alcune zone, la povertà è aumentata dal 27,5% al 32,7%, a dimostrazione di come una delle maggiori crescite economiche dell’Africa non abbia rappresentato un vantaggio per la popolazione. La dilagante indigenza di alcune zone del paese ha permesso alla microcriminalità di prosperare. La necessità che nasce dalla mancanza di mezzi ha portato all’incremento del fenomeno dei baby soldato.
In aggiunta a questi notevoli e attuali rischi per i diritti umani, non si può tralasciare l’ulteriore e potenziale fonte di caos rappresentata dalla presenza di circa 1 milione di rifugiati sul territorio ugandese.
La presenza delle Nazioni Unite è necessaria?
Tornando alla questione iniziale, questo breve ma intenso elenco fornisce un disegno sufficiente a confutare le affermazioni che il governo ha addotto, per giustificare la sospensione dell’accordo con l’ufficio dell’Alto Commissariato per i diritti umani dell’Onu. A dispetto di quanto asserito dalle autorità ugandesi, i rischi di potenziali crisi sono ancora molto elevati e la tutela dei diritti umani si trova sospesa tra le incertezze di un equilbrio precario. La presenza delle Nazioni Unite non è quindi necessaria, ma fondamentale, per evitare che questa bilancia di cristallo si frantumi.