Il Parlamento europeo decide che dal 2035 dovranno prodursi solo auto elettriche: lo sfruttamento minorile per l’estrazione di cobalto aumenterà?
Nell’ambito dell’approvazione dell’accordo sugli obblighi di riduzione delle emissioni di CO2, il Parlamento Europeo ha approvato, con 340 voti a favore, lo stop della vendita dei veicoli alimentati a benzina o diesel. Sebbene manchi ancora la ratifica formale del Consiglio, la decisione del Parlamento incentiva il mercato di produzione di autovetture con batterie a litio. Da questa scelta sorge l’esigenza di regolamentare l’estrazione del cobalto, materiale fondamentale per la produzione di tali macchine. Dal 2035, quindi, si venderanno solo auto elettriche: sfruttamento minorile in aumento?
Un crudele binomio: sostenibilità e sfruttamento
L’audace decisione, maturata in seno alle istituzioni europee, di virare verso una svolta sostenibile del mercato e della circolazione delle auto, soltanto da un punto di vista epidermico rappresenta una notizia positiva. Come per tutti i cambiamenti radicali, sebbene spalmati nell’arco di un decennio, i lati oscuri sono molteplici; questo soprattutto se, per tentare di porre rimedio ai danni provocati dal capitalismo sull’ambiente, si utilizzeranno gli stessi meccanismi sfruttati da tale sistema, ovvero i medesimi colpevoli delle attuali deformazioni climatiche e sociali.
Il primo pericolo è proprio una stortura di carattere sociale: il rischio che, non appena aumenterà la richiesta di veicoli elettrici nel mercato delle autovetture, si intensificherà lo sfruttamento minorile nelle miniere di cobalto.
Già è possibile notare in modo più nitido come la decisione del Parlamento europeo coinvolga non solo il tema ambientale, ma anche e soprattutto quello dei diritti umani, con probabili e repentini peggioramenti di situazioni ad alto rischio, in zone già da tempo disossate dal neoliberismo e dai suoi operatori.
Le miniere di cobalto in Congo
Da anni sono molte le organizzazioni, come Amnesty International, impegnate a denunciare le condizioni estreme in cui versano circa 40000 ragazzi e ragazze minorenni, costretti a lavorare nelle miniere della Repubblica democratica del Congo. Di “miniere” si tratta, quando sono fortunati; nella maggior parte dei casi, per l’estrazione di cobalto ad esempio, non sono altro che buche, capaci di superare, talvolta, anche i dieci metri di profondità, scavate a mani nude da questi piccoli operai. In media il guadagno è di 1000 franchi congolesi al giorno, ovvero il corrispettivo di circa 1 $. Molti di loro non frequentano la scuola, costretti ad abbandonarla, perché il sistema scolastico e gli stipendi degli insegnanti sono pagati dalle famiglie degli studenti e l’educazione, in molti casi, è un vero e proprio lusso.
Di solito si scava e si cerca il cobalto per circa 12 ore. Orario che non sempre è rispettato, in quanto i crolli di quelle piccole, ma profonde buche spesso non permettono a tutti di risalire. Quando e se, ritrovati, i loro corpi non è detto vengano segnalati o sepolti.
La causa contro Tesla, Microsoft, Aphabet
Nel 2019, le famiglie dei bambini morti o malformati a causa delle condizioni di lavoro estreme delle miniere hanno denunciato i giganti della tecnologia, accusandoli di aver messo in atto pratiche disumane, nella fase di ricerca del cobalto. Quest’ultimo è infatti fondamentale per il funzionamento dei dispositivi elettronici come smartphone, tablet, computer, auto elettriche. Per questi giganti, probabilmente, tali pratiche sono diventate “necessarie” negli ultimi decenni, in ragione del forte aumento della domanda di tali prodotti.
Proprio questo è il pericolo insito nella decisione del Parlamento europeo: la possibilità che un incremento inevitabile della domanda di auto elettriche, quindi di cobalto, produca un proporzionale aumento dello sfruttamento in queste miniere improvvisate.
Un’alternativa al cobalto
Negli ultimi anni, un po’ scossi dalla necessità di affrancarsi dalle accuse di violazioni dei diritti umani, un po’ mossi dalla volontà di diminuire i costi di produzione e al contempo aumentare le prestazioni dei prodotti, in molti stanno cercando di trovare un’alternativa al cobalto nella fabbricazione di dispositivi elettronici. La Goodenough ha sviluppato batterie ricaricabili prive di tale materiale, sostituito dal manganese e dal ferro; Elon Musk ha annunciato che molto presto ci saranno batterie senza cobalto; Ibm ha avviato insieme ad altre aziende un progetto di “blockchain“ per tracciare i rifornimenti di cobalto, assicurandosi che ogni estrazione avvenga nel rispetto dei diritti umani; infine, la Lyten ha intenzione di proporre sul mercato una batteria basata sul litio e sullo zolfo.
Sono molteplici le strade tracciate per cercare di emanciparsi dal cobalto, il problema persiste però in quanto non è detto che saranno rese percorribili per tempo, ovvero entro il 2035.
Auto elettriche, sfruttamento minorile e nuovo colonialismo
Quale che sia il sentiero prescelto, questi problemi si ripresenteranno costantemente alla porta, fin quando l’Africa non otterrà una nuova dignità, smettendo di rappresentare le fondamenta su cui si regge il sistema neoliberista di cui l’Occidente è impregnato. Quella che riguarda il cobalto è soltanto una delle tante cruenti realtà che interessano i paesi africani. Ricchissima di risorse e allo stesso tempo maledetta da tale opulenza, l’Africa ospita circa il 30% delle risorse naturali mondiali e il 43% della povertà di tutto il globo. Dati che parlano da soli e che dovrebbero portare a un ripensamento dei sistemi economici attuali, colpevoli anche di aver creato individui totalmente non curanti, che quotidianamente ingurgitano, indifferenti, ipocrisie e disparità.
Il problema ambientale e lo stato pericolante dei diritti umani, legati da congiuzioni flebili e impercettibili, rappresentano entrambi le dirette conseguenze, e al contempo gli strumenti, della logica del profitto e delle sue storture.
Un cambiamento di rotta è obbligatorio, prima che necessario, e dovrà essere generato non dalla sostituzione di ingranaggi vecchi con altri nuovi della stessa forma, ma mutando la legge che li fa “funzionare”.
Raffaele Maria De Bellis