Alla Corte europea si è tenuta oggi l’udienza che vede l’UE insieme a 16 Stati membri a processo contro l’Ungheria. Si tratta della più grande procedura sulla violazione di diritti umani portata davanti alla Corte di giustizia europea.
L’udienza di oggi al Tribunale dell’Unione europea di Lussemburgo vede ben 17 parti, 16 Paesi europei più la Commissione, scagliarsi contro un altro Stato membro. Il caso su cui si discute che pone l’UE contro l’Ungheria è la norma approvata nel 2021 dal governo di Orbán contro la “promozione dell’omosessualità” ai minori, nelle scuole, nei media.
La Commissione europea, con il supporto di 16 Stati membri, ha fatto causa all’Ungheria di Orbán portandola oggi a processo. All’appello dei 16 Stati presenti in aula mancano la Polonia, la Lituania, l’Estonia, Cipro e, non troppo a sorpresa, l’Italia. Italia che pur di continuare a strizzare l’occhio a Orbán resta isolata e si taglia fuori da una lotta a cui partecipa la maggioranza degli Stati europei.
I diritti fondamentali infranti
L’accusa da parte della Commissione UE contro l’Ungheria è di infrazione dei diritti fondamentali dell’uomo sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. La portata del processo è enorme: per l’Unione (o gran parte dell’Unione) la legge di Orban, definita ai tempi da Von der Leyen “una vergogna”, sarebbe un affronto al diritto europeo, ai valori dell’UE contenuti nell’articolo 2 del Trattato dell’Unione, tra cui quello della democrazia, dello stato di diritto e dei diritti umani, e soprattutto ai diritti fondamentali sanciti dalla Carta, infrangendo l’articoli 1 sulla “dignità umana”, l’articolo 7 sul “rispetto della vita privata e della vita familiare”, l’articolo 11 sulla “libertà di espressione e di informazione” e l’articolo 21 sulla “non discriminazione”.
Gli Stati membri che hanno preso posizione in udienza contro la legge ungherese hanno più volte ribadito il loro sdegno. Nei discorsi di apertura, ha preso parola il portavoce della Spagna sottolineando: “non siamo in genere propensi ad intervenire in processo contro un Paese europeo, ma questo caso è troppo grave per tacere”.
L’Ungheria si difende appellandosi al dovere dello Stato di provvedere affinché l’istruzione dei bambini sia libera da influenze propagandistiche che minano i valori tradizionali della famiglia. La legge in questione, meglio nota come “legge sulla protezione dell’infanzia”, vieta la messa a disposizione di contenuti “che promuovano o mostrino la sessualità, o che promuovano o mostrino il cambiamento di genere/sesso o l’omosessualità” ai minori di 18 anni.
La giustificazione per questa legge fu all’epoca la seguente: “ci sono contenuti che i bambini di una certa età possono travisare e che potrebbero avere un effetto nocivo sulla loro crescita, o che i bambini semplicemente non possono processare e che perciò confonderebbero il loro sviluppo dei valori morali o l’immagine che hanno di sé o del mondo”, spiegava un portavoce di governo al momento dell’approvazione.
Il Grande Fratello Ungherese
Il controllo sui contenuti è regolamentato dalla Hungary’s Media Authority, un ente “responsabile della supervisione di tutti i settori mediatici […] del monitoraggio del rispetto di questi delle leggi sui media in vigore e responsabile di sanzionare coloro che dovessero infrangerle”.
Una sorta di Grande Fratello orwelliano al controllo dei media che, in linea con la legge del 2021, garantisce che i contenuti accessibili ai minori non li espongano a temi come l’omosessualità o la transessualità. Tali contenuti, se presentati come temi centrali o attraenti per il pubblico, costituirebbero una “propaganda di ideologie LGBT+”, pericolosa in quanto potrebbe influenzare negativamente i minori con contenuti che negano i valori della famiglia tradizionale. In confronto, le affermazioni di Vannacci sembrano quasi piccolezze.
Ma la propaganda pericolosa è ovviamente un’altra. È quella strumentalizzata dalle forze politiche conservatrici, da Orbán fino a Trump con tappa al congresso per la famiglia di Verona, per acquisire consensi mettendo in testa alla gente fobie che non sapeva nemmeno di avere. E insieme agli immigrati e alle altre minoranze si fa della comunità LGBT+ il nuovo capro espiatorio verso cui puntare il dito per distogliere l’attenzione dai problemi veri.