L’udienza della Cassazione, fissata per oggi, mette al centro un tema spinoso e controverso: la classificazione dei “Paesi sicuri” e il trattamento riservato ai migranti provenienti da questi territori. La procura generale ha richiesto formalmente la sospensione del giudizio, suggerendo di attendere una decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE). Questo approccio, secondo gli esperti, mira a evitare contraddizioni tra le sentenze nazionali e quelle europee, creando un precedente solido in materia di immigrazione.
Il cuore del dibattito: Paesi sicuri per chi?
La tanto attesa sentenza della Cassazione si intreccia con la definizione stessa di “Paese sicuro”. Secondo la normativa UE, questa designazione implica che il Paese in questione non presenti rischi di persecuzioni, torture o trattamenti degradanti. Tuttavia, recenti sentenze hanno sollevato dubbi. Ad esempio, una pronuncia della CGUE ha stabilito che un Paese non può essere considerato sicuro se parti del suo territorio non lo sono. Questo principio è stato esteso dal tribunale di Roma alle categorie sociali vulnerabili, come oppositori politici, comunità LGBTQIA+, giornalisti e avvocati, sollevando interrogativi sull’applicabilità generale della nozione di sicurezza.
La posizione del governo italiano
Il governo italiano ha classificato 22 Paesi come sicuri, tra cui Bangladesh, Tunisia ed Egitto, basandosi su decreti ministeriali e successivamente su un decreto legge per rafforzare la normativa. Queste misure sono però state contestate da diverse sezioni specializzate per l’immigrazione.
In risposta, il governo ha trasferito la competenza alle Corti d’Appello, una scelta insolita che ha aumentato il carico di lavoro su tribunali già sotto pressione. Il Ministero dell’Interno sostiene che i tribunali non abbiano il potere di mettere in discussione la classificazione governativa dei Paesi sicuri, un punto che sarà centrale nell’udienza della Cassazione.
L’iter accelerato e la libertà personale
Un altro aspetto cruciale riguarda le procedure accelerate riservate ai migranti provenienti da Paesi sicuri. Questi processi prevedono un esame rapido delle richieste d’asilo, durante il quale i richiedenti sono trattenuti in centri di accoglienza, come quelli costruiti in Albania a Shengjin e Gjader. La privazione della libertà personale solleva interrogativi sulla conformità con i diritti fondamentali, soprattutto considerando che la procedura accelerata riduce le possibilità di una difesa efficace. Anche se il migrante può ottenere il riconoscimento della protezione, le modalità di valutazione preliminare sono oggetto di critiche.
La prospettiva della Corte di Giustizia UE
Dopo l’udienza della Cassazione, anche la CGUE sarà chiamata a esprimersi su rinvii pregiudiziali avanzati dai tribunali di Roma, Bologna e Palermo. L’udienza è fissata per febbraio 2025, con una sentenza prevista per la primavera. Le decisioni della Corte europea potrebbero influenzare profondamente la normativa italiana sui Paesi sicuri, rendendo cruciale l’attesa di un giudizio superiore. L’udienza della Cassazione potrebbe quindi decidere di sospendere i procedimenti per evitare contraddizioni future e assicurare un allineamento con il diritto comunitario.
Il caso dei migranti trattenuti in Albania
I primi trasferimenti nei centri albanesi hanno incontrato ostacoli significativi. Il tribunale di Roma ha respinto la convalida dei trattenimenti, ritenendo che la designazione dei Paesi di origine come sicuri non fosse conforme alla normativa europea. Questa decisione ha portato il Ministero dell’Interno a ricorrere in Cassazione, aprendo un dibattito giuridico di ampio respiro. Nel frattempo, i centri di Shengjin e Gjader rimangono vuoti, con il personale italiano rimpatriato per contenere i costi di un progetto già criticato per la sua inefficacia.
Tra attese e decisioni cruciali
L’udienza della Cassazione rappresenta un momento decisivo per il futuro delle politiche italiane sull’immigrazione. La richiesta di sospendere il giudizio in attesa della CGUE evidenzia la complessità del tema e l’esigenza di una soluzione che concili il rispetto dei diritti umani con la gestione dei flussi migratori. La sentenza attesa per la primavera del 2025 potrebbe non solo risolvere la questione dei Paesi sicuri, ma anche ridefinire il rapporto tra normativa nazionale e diritto comunitario in materia di asilo.