Guerra in Ucraina, Chernihiv. Mentre fuori continuano i bombardamenti con droni, in una palestra di sport da combattimento nazionale si salvano centinaia di senzatetto.
Reportage missione umanitaria Ucraina. Maggio – Settembre 2022.
Distribuzione cibo dentro un grande rifugio per senzatetto. Quella che era una palestra da combattimento è ora la casa di centinaia di persone: bambini, famiglie, anziani e amici a quattro zampe.
Chernihiv, nord est Ucraina – 40 km dal fronte bielorusso
Ci troviamo in quella che è stata la prima città a essere bombardata e occupata dall’esercito russo. Rimasta isolata fino al 5 marzo, dopo che i droni russi avevano interrotto la rete di comunicazione facendo esplodere quanti più ponti possibili a nord e a sud del paese, e’ stata liberata successivamente dall’esercito ucraino nei giorni a seguire.
Questo non ha reso però ”sicura” Chernihiv, che ancora oggi, ottobre 2022, riceve bombe e minacce russe dal limitrofo fronte bielorusso.
Da ”palestra di box” a ”casa di tutti”
Dal 24 Febbraio, giorno d’inizio della guerra in Ucraina, centinaia di persone hanno trovato accoglienza in questa palestra. Un edificio – bunker, situato sotto un ex ufficio pubblico, nel pieno centro di Chernihiv.
Aria fredda e umida. Letti miseri composti da coperte e tappetini sportivi, occupano la maggior parte del pavimento della struttura.
Poster sul muro, rendono questo triste spazio più accogliente, più casa. Qualche zuppa ricevuta da donazioni è sparsa tra letti e pavimento. Comodini inventati con scatole o casse di legno, ospitano qualche peluche di bambino e medicine.
Un bunker che è arrivato ad accogliere più di 500 persone lo scorso febbraio.
Adesso ne accoglie solo 200.
Non c’era posto per camminare, respirare, avere privacy. Un incubo!
Ci racconta una giovane donna con i suoi occhi verdi e lucidi.
Il mio palazzo è esploso davanti ai miei occhi!
Urla una madre di famiglia avvolta dalla sua calda coperta.
Avevo perso il lavoro, adesso anche la mia famiglia. Non mi resta più niente!
Sussurra con disperazione l’anziano seduto al tavolo. Ha un berretto da marinaio. Non dice altro. Non vuole essere compatito. Allunga la mano, prende il pane e lo spezza in due. Posa una metà e inizia a divorare l’altra. Negli occhi il vuoto.
A pochi minuti dal nostro arrivo, quella palestra si trasforma in un ring di sfogo: storie e sofferenza. Bisogno di esternare e far conoscere la loro situazione.
Tra scatolame di vario genere, box di pugilato divenuto appendi e stendi abiti, qualche animale domestico e qualche persona che dorme sotto corde da arrampicata e luci forti al neon, ascoltiamo tutto. Alcuni non parlano: hanno solo voglia e bisogno di affetto.
Sono increduli: scoprire che qualcuno là fuori si sta preoccupando per loro.
Ma, mentre su tutte le televisioni odierne si parla di ”bombe sporche” e di Twitter d’incitazioni alla violenza verso il popolo ucraino, nessuno parla ai e dei civili.
Non c’è spazio per i sentimenti durante una guerra.
Non solo storie
Parlando ore e ore con i civili, a Chernihiv e non solo, vengono fuori vari interrogativi. Molti si chiedono:
Chi risarcirà tutti questi danni fisici e psicologici?
ll presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha le idee chiare:
“Ricostruiremo ogni edificio, ogni strada, ogni città e diciamo alla Russia: imparate la parola ‘risarcimenti’. Ci ripagherete completamente per tutto ciò che avete fatto contro il nostro Stato, contro ogni ucraino. Non abbiamo altro da perdere, se non la nostra libertà”.
Annuncia durante un’intervista.
Le persone sono fiduciose. Fiduciose verso il loro presidente, il ”servitore del popolo”, così descritto dal giornalismo internazionale. Il primo vero presidente scelto e stimato dal popolo ucraino.
Quanto queste parole siano affidabili non è dato saperlo. Spavalderia o sicurezza? Quel che è certo , è che Zelensky riesce a far pendere tutti gli ucraini dalle sue labbra.
In Ucraina rimane l’amaro
Rimane la consapevolezza di non avere ancora una scadenza di fine guerra.
Rimane la certezza di un popolo non pronto ad arrendersi.
”Piuttosto la morte”.
Condividono in tanti. Un popolo ferito dal popolo russo, che fino a inizio febbraio definivano ”popolo di fratelli”.
Quando, come e perché finirà questa guerra nessuno lo sa. L’unica certezza che si respira parlando e ascoltando le persone è l’odio e il rancore che resterà per molti secoli tra questi due popoli: feriti non solo da missili ma soprattutto nell’orgoglio.
Silvia De Lucia