Itaberli è stato ucciso. La sua colpa più grande è essere gay
L’omofobia uccide. Ecco l’ennesima conferma
Siamo in Brasile. Itaberli ha 17 anni. Lo zio lo descrive come un bravo ragazzo, un lavoratore, educato come pochi. Purtroppo, Itaberli è colpevole. Il ragazzo è gay e per questo deve morire. Questo è ciò che ha pensato la madre Tatiana prima di ucciderlo.
Ucciso dalla stessa donna che l’ha messo al mondo. La crudeltà di una donna scatenata dall’orientamento sessuale del ragazzo.
Con la complicità del marito Alex il corpo del ragazzo accoltellato è stato bruciato in un campo. Un orribile falò umano. I suoi resti sono stati ritrovati qualche giorno dopo il terribile delitto.
Lo zio vuole giustizia per quel ragazzo scomparso, di cui sono rimaste, ormai, solo le ceneri. Insiste dicendo che l’omicidio è stato premeditato. La scomparsa (non denunciata) di Itaberli si è verificata dopo poco tempo dal ritorno a casa. Il giovane, infatti, viveva da tempo con i nonni e gli zii. Quando la madre ha insistito per riaverlo a casa, Itaberli ha deciso di tornare.
Un errore. Un solo errore è bastato per ridurre il suo corpo in cenere e la sua anima in brandelli. Tutto questo perché Itaberli è stato ritenuto colpevole. Colpevole d’amore. Di un amore diverso.
Un ragazzo di diciassette anni privato del suo sorriso. Un ragazzo privato dell’amore che il suo stesso nome lascia trasparire. Un amore multiculturale, che unisce in sé più culture. Un nome ora privo del suo corpo, dei suoi occhi, del suo buongiorno, del suo grazie.
Itaberli magari avrebbe voluto viaggiare, o magari no. Itaberli magari avrebbe voluto mangiare spaghetti nella capitale sorseggiando buon vino, o magari no. Itaberli magari avrebbe voluto visitare il Pergamon Museum sotto un cielo piangente neve, o magari no. Itaberli magari avrebbe voluto essere semplicemente amato, o magari…sì, senz’altro avrebbe voluto essere amato.
Maria Giovanna Campagna