Daniele si risveglia in un letto di ospedale, sperduto, naufrago di una vita che va in pezzi e di cui si sente il responsabile. Dopo aver quasi ammazzato il padre di botte, i medici lo mettono in trattamento sanitario obbligatorio (TSO). Per una settimana si troverà a convivere con persone inaspettate, tra pazienti, medici e se stesso.
Questa è la premessa del secondo romanzo di Daniele Mencarelli, dal titolo “Tutto chiede salvezza”, edito da Mondadori e uscito il 25 febbraio. Dopo il suo romanzo d’esordio “La casa degli sguardi”, edito anch’esso da Mondadori nel 2018 e vincitore di diversi premi, torna a parlare di sè, di un altro importante capitolo della sua vita. “Tutto chiede salvezza” ci fa tornare indietro nel tempo, nell’afoso giugno del 1994. Daniele, allora ventenne, scrive e scandisce il tempo di questo romanzo in modo molto puntuale: la divisione in capitoli corrisponde ai sette giorni di TSO. Un’attenzione al tempo, manifestata anche nell’iniziale voglia di fuggire e scappare, contare i giorni che mancano alla fine del trattamento.
Daniele non è da solo durante la sua permanenza. Attorno a sé, tra quelle quattro mura bianche, galleggiano cinque uomini, in apparenza relitti: un piccolo-grande microcosmo umano. Madonnina, “in cerca della propria anima”, il primo che accoglie il protagonista con un drammatico risveglio; Gianluca, che si sente un po’ la prima donna della clinica; Alessandro, con lo sguardo fisso nel vuoto, in silenzio; Mario, un vecchio maestro dalla scarmigliata chioma di ricci che pare Brian May. Infine Giorgio, grande e grosso ma dal cuore tenero e con un doloroso passato, difficile da superare.
Durante la lettura sorge una domanda, al lettore e al protagonista. È mai possibile che, in sette giorni, rinchiuso in un ospedale psichiatrico, Daniele arrivi a provare felicità e dolore con un’intensità nuova? Questa domanda trova risposta in una parola: amicizia. Un’amicizia a dir poco irrazionale: 6 pazzi che si trovano a chiacchierare del più e del meno, giorno e notte; un’amicizia vera, dove non si è giudicati, dove le sofferenze e le domande sono “comprese”, nel suo significato più originario, ovvero abbracciate. Così scrive Daniele:
Quei cinque pazzi sono la cosa più simile all’amicizia che abbia mai incontrato, di più, sono fratelli offerti dalla vita, trovati sulla stessa barca, in mezzo alla medesima tempesta, tra pazzia e qualche altra cosa che un giorno saprò nominare.
Come diceva anche C.S. Lewis ne “I quattro amori” a proposito dell’amicizia:
La frase con cui di solito nasce un’amicizia è qualcosa di questo genere: « Come? Anche tu? Credevo di essere l’unico»
Quei disperati sono per Daniele una scoperta, dei compagni che condividono con lui un cammino simile, oltre che un immenso desiderio di essere raccolti, ripresi o, come meglio viene detto, di essere salvati.
Daniele si rapporterà anche con medici e infermieri: i cosiddetti “sani”, anche se, come l’infermiere Pino ricorda, “i sani sanno essere più cattivi dei matti”. In questo romanzo si comprendere come la cattiveria entri in gioco non solo tramite una violenza fisica, ma anche nel momento in cui viene meno il bene dell’altro.
Se viene meno il bene, come posso tornare ad essere felice?
Daniele a questo proposito ha una domanda lacerante e profondissima. Egli sente un disperato bisogno di vivere, di essere felice e mettersi in gioco in modo totale. Scrive poesie fin dall’infanzia, convinto dall’insegnante e incoraggiato benignamente dalla madre. Così è riuscito a dar voce a ciò che gli “esplode” nel cuore. Lo stesso sguardo poetico si rintraccia anche in “Tutto chiede salvezza”: un testo che fluisce, pur nella sua densità contenutistica. Le parole, come gemme, sono incastonate sulla pagina, selezionate con cura e non lasciate al caso. Affiora, tra una pagina e l’altra, tutto il vissuto dell’autore: dal sudore delle stanze alla tenerezza di uno sguardo.
In certi momenti potrei accende le lampadine co’ tutta la felicità che c’ho dentro, veramente, nessuno sa che significa la felicità come lo so io
Cos’è la salvezza?
“Tutto chiede salvezza”. Questo è il titolo del romanzo, un titolo che fa riflettere, sia prima di aprire il libro che dopo averlo chiuso. Salvezza è una parola che ricorre più volte sfogliando le pagine. Essa si rivela a Daniele, al suo “profondo sentire”, come la parola ultima, che racchiude in sé tutte le altre. Egli arriva ad intuire come questa parola non si possa ridurre ad una semplice questione di salute o malattia. Nella sua personale sofferenza la salvezza si incarna in un bisogno di amore, di essere “ripreso”. La poesia diviene un metodo di indagine, discreto ma commosso: una ricerca, che dia un significato alla bellezza del mondo e alle esplosioni del suo cuore.
L’enormità di tutto, dallo spazio ai colori, stordisce e innamora, la bellezza conquista gli occhi (…) Dall’alto, dalla punta estrema dell’universo, passando per il cranio, e giù, fino ai talloni, alla velocità della luce, e oltre, attraverso ogni atomo di materia. Tutto mi chiede salvezza.
Jacopo Senni