Ieri una persona mi ha chiesto: “Perché non hai scritto nulla sul MES?”. Gli ho risposto in modo diretto: “Perché non ho le competenze per farlo“.
Sì, un giornalista (e in generale un cittadino) ha il dovere di informarsi, deve studiare a fondo un argomento e farsi un’idea. Me la sono fatta. C’è però
una differenza sostanziale tra un parere basato su qualche giorno di studi e ricerche e quello di chi ha i titoli e passa la vita a occuparsi di certi argomenti. Ho ascoltato le parole degli economisti, le ragioni di una fazione e dell’altra, analizzato le
cifre in ballo e letto i documenti ufficiali europei, ma questa full immersion non potrà mai essere equiparata alla reale competenza, alle lauree, ai dottorati, al lavoro sul campo. Quindi posso dire soltanto che un MES senza condizionalità e circoscritto al tema sanitario è PER ME la giusta soluzione da attuare, senza pregiudizi e senza lasciarsi incantare dalle narrazioni (propagande) politiche. Ma quel “per me” fa tutta la differenza del mondo: io non sono un economista.
Allo stesso tempo non sono un virologo o un epidemiologo, quindi sul coronavirus posso passare le giornate a informarmi su tassi di letalità, funzioni degli anticorpi, curve epidemiologiche, procedure di lockdown, attendibilità dei test sierologici e tutto il resto- ed è quello che faccio costantemente. Però non potrò mai avvicinarmi alle competenze di chi vive di questo e studia da una vita quello che io sto leggiucchiando da un mese.
Ampliando il discorso,
credo che la principale piaga dei social sia il fenomeno dei tuttologi. Tutti pretendono di parlare di un determinato argomento senza avere gli strumenti necessari per farlo. Il problema sorge quando la piattaforma appiattisce le competenze, e quindi il parere di Pinco Pallino ha la stessa risonanza di quello di uno scienziato.
Quando c’è un terremoto siamo tutti sismologi, in tempo di referendum siamo esperti di diritto costituzionale, poi tutti medici, allenatori di calcio, politici, musicisti, cineasti. Spesso ci si aggrappa alle parole del politico di turno fidandosi ciecamente di quello che dice, anche quando la narrazione è distorta. È l’espediente politico di Salvini, che in pochi giorni ha posto il suo marchio di condanna sul
MES, e così la casalinga di Voghera o la dentista di Fano sproloquiano su qualcosa di astratto, su una visione costruita da un politico e non sull’argomento in sé. Ci si fida del capopopolo arruffone e si ripetono gli slogan vuoti, senza sapere assolutamente nulla a riguardo. Ogni considerazione è indiretta,
siamo nell’epoca dei pareri passivi, dell’indottrinamento che ci illude di avere una conoscenza, quando in realtà è una mistificazione. L’esempio di Salvini può essere esteso a tutte le altre forze politiche, con la differenza che il leader leghista vive SOLO di questo, ed è innegabilmente più astuto degli altri nel portare il gregge nel suo recinto.
Quindi i social ci offrono l’illusione di sapere ogni cosa e di poter esternare pareri random. La realtà è che fondamentalmente non sappiamo un ca**o, o al limite ne sappiamo poco. E quel “poco” non giustifica la presunzione di dover dire la nostra, a prescindere, su tutto. Anche sui social dovrebbe essere valorizzato il silenzio. Zuckerberg, se mi ascolti: inventati una nuova funzione, ovvero i like a chi decide scientemente di non dire nulla. Un metalike a un non-post. Il silenzio contro la tuttologia.
Sarebbe un bel passo avanti per l’umanità.