Tutti pazzi per Tele-Totti

Di Carlo Nesti 


 

Sicuramente, l’ultimo Festival di Sanremo verrà ricordato non solo per la conduzione Conti-De Filippi, e per la simpatia di Gabbani, ma anche per l’onore garantito agli eroi invisibili, come i soccorritori di Rigopiano.

Quando si dice che tutto viene strumentalizzato, con finalità di audience, bisognerebbe chiedersi: ma allora di che cosa vogliamo che parli la televisione, se persino premiare chi fa il proprio dovere dà fastidio agli snob del telecomando?

L’ultimo Festival di Sanremo verrà ricordato pure per i 14 milioni di telespettatori, che erano davanti al video, al momento dell’apparizione di Francesco Totti.

Se pensiamo, in campo sportivo, ai circa 50 milioni di followers, che seguono su Twitter Cristiano Ronaldo, abbiamo la conferma del potere mediatico di questi personaggi.

Siccome il calcio è ben più di un gioco, i campioni sappiano avere per la vita lo stesso rispetto espresso dalla splendida canzone della Mannoia, finita dietro a Gabbani, ma illuminata da un testo di grande profondità spirituale.

E gli assi sappiano che ogni loro atteggiamento, amplificato mille volte, può essere educativo o diseducativo per migliaia di giovani.

L’adrenalina della sforzo fisico induce a commettere errori, nell’enfasi della sfida agonistica, ma non ha spiegazioni inasprire dichiarazioni e polemiche, quando, ormai, si è tornati in condizioni di lucidità. Certe “bagarre” arbitrali, ad esempio, servono solo a spargere veleno, pericoloso e contagioso.

Ricordo un discorso del Papa, in occasione della partita fra Italia e Argentina dell’agosto 2013.

“Conservate la dimensione del dilettante. Il calcio è diventato business: lavorate perché non perda il carattere sportivo. Siete un modello per i giovani. Pregate per me, perché anch’io, nel campo in cui Dio mi ha posto, possa giocare una partita onesta e coraggiosa, per il bene di tutti noi”.

La responsabilizzazione impone a ragazzi, dai 18 ai 35 anni, di crescere più in fretta di tanti altri, proprio per i motivi indicati dal Pontefice, che ama usare spesso la metafora dello sport, per spiegare il Vangelo.

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