Turismo, ferrovie e armi, come la Cina sta comprando la Serbia

la Cina sta comprando la Serbia

Negli ultimi anni, la cooperazione economica e tecnica in settori chiave dell’economia Serba si è rivelata per Pechino uno strumento molto efficace per l’avanzamento dei suoi obiettivi di politica estera nei Balcani occidentali. Per il gigante asiatico, l’ex Repubblica jugoslava rappresenta, infatti, un’importante collegamento nella complessa rete di alleanze commerciali tracciate dalla Belt and Road Initiative. Grazie ai prestiti cinesi, la Serbia ha già realizzato opere come la ferrovia Belgrado-Budapest e l’autostrada di confine Belgrado-Montenegro, e entro la fine del 2023 Pechino potrebbe investire nel Paese tanto quanto il totale dei membri dell’Unione europea.

Le relazioni tra la Repubblica Popolare Cinese e i Paesi balcanici affondano le loro radici  nella costituzione della Jugoslavia di Tito e dell’Albania dell’ex Primo ministro Enver Hoxha.  Tuttavia, negli ultimi anni,  l’attenzione di Pechino sembrerebbe essersi focalizzata su un attore particolare della regione dell’Europa orientale, la Serbia, diventata il principale punto di riferimento (e investimento) del Dragone. E’ infatti dal 2009, anno dell’accordo di cooperazione tecnica ed economica tra i due Paesi, che la Cina sta letteralmente comprando la Serbia e la sua economia attraverso copiosi e spregiudicati piani d’investimento  che hanno favorito, tra le altre cose, anche il pericoloso arretramento democratico in atto nell’ex Repubblica jugoslava.

Classificata come nazione in via di sviluppo, la Serbia ha da sempre dovuto fare i conti con il costante bisogno di reperire risorse finanziarie necessarie per promuovere lo sviluppo della propria economia. Inoltre, Belgrado è candidata dal 2012 per l’ingresso nell’Unione Europea ma i progressi nel processo di adesione procedono a rilento a causa di problemi regionali irrisolti, in particolare lo stallo del dialogo politico con Pristina e i timidi progressi nella riforma dello Stato di diritto, che rendono incerti i tempi di adesione.

Questa perenne situazione di incertezza ha quindi spinto la Serbia a spostare lo sguardo sempre più verso l’estremo oriente, per chiedere sostegno economico e militare a Pechino, a sua volta  alla ricerca di una nuova testa di ponte per penetrare in Europa da Est e ampliare la propria rete di alleanze nella Belt and Road Initiative. 

L’ascesa cinese nei Balcani

Storicamente, una prima stabilizzazione nelle relazioni tra Cina e Jugoslavia, avvenne  nel 1955, con il superamento da parte cinese delle divisioni ideologiche sulle politiche estere tra la Jugoslavia e l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS). Ma il vero disgelo con i paesi dell’area Balcanica si concretizzò solamente a metà degli anni Novanta, quando Pechino decise di prendere le distanze dalla Russia per concentrarsi nella costruzione della propria sfera d’influenza in Asia e nel resto del mondo.  Successivamente, con la caduta del regime di Slobodan Milošević, Pechino tornerà ad affacciarsi nei Balcani, inaugurando un nuovo corso nelle relazioni di politica estera con i singoli Paesi della regione, tra cui proprio la Serbia. 


Nel 2009, Cina e Serbia hanno firmato un accordo strategico, che è stato successivamente rafforzato nel 2013 con una dichiarazione congiunta, e che ha permesso a Belgrado di ottenere prestiti in via preferenziale da istituzioni finanziarie cinesi, per una somma superiore a 8 miliardi di dollari.

Attualmente, la collaborazione tra Cina e Serbia non si limita ai soli investimenti infrastrutturali e alla cooperazione militare e strategica, ma comprende molti altri settori, come  la cultura, i media o la ricerca accademica. I due paesi si sostengono a vicenda anche sul piano politico, puntellando l’uno la tesi dell’altro, rispettivamente sul non-riconoscimento del Kosovo da parte di Belgrado e del Tibet da parte di Pechino. 

Ma la Cina preferisce investire in Serbia anche perché Belgrado ha un sistema di procedure legali e burocratiche poco trasparenti che hanno permesso in questi anni al gigante asiatico di esternalizzare l’inquinamento e il degrado ambientale in paesi più poveri e lontani.

L'”amicizia dell’acciaio” tra Belgrado e Pechino

Dal punto di vista serbo, i benefici della cooperazione con la Cina riguardano due aree principali: la cooperazione economica e finanziaria con il coinvolgimento diretto cinese nella costruzione di infrastrutture, e gli investimenti indiretti che svolgono un ruolo importante nell’influenzare l’economia locale.

Dalla firma del trattato di cooperazione tecnica ed economica nel 2009, gli investimenti esteri diretti cinesi in Serbia sono cresciuti sensibilmente, passando dai 2 milioni di euro del 2010 ai 528,5 milioni di euro nel 2020. Tra il 2005 e il 2019 la Cina ha investito 10,3 miliardi di dollari in Serbia, concentrando nel paese il 20% del totale degli investimenti diretti esteri di tutta la regione dei Balcani.

Tra Pechino e Belgrado vige una vera e propria “amicizia dell’acciaio” che ha permesso alle aziende cinesi di penetrare ulteriormente nel settore dell’industria siderurgica  serba.  Le principali società coinvolte nella crescente cooperazioni sono serbe ma guidate da imprese di proprietà cinese, così come  cinesi sono i due maggiori esportatori del settore minerario, Zijin Mining e HBIS Group Serbia Iron and Steel. Nel 2016, il colosso cinese Hebei Iron & Steel Group è riuscito persino a mettere a mettere le mani sull’acciaieria di Smederevo staccando un assegno di 46 milioni di euro.

Tuttavia, i vantaggi per la popolazione serba sono stati di gran lunga inferiori rispetto alle attese. Gli abitanti della città di Smederevo hanno dovuto fare i conti con un aumento esponenziale del tasso di inquinamento atmosferico e dei casi di malattie respiratorie, come testimoniano i dati raccolti dall’Agenzia serba per la protezione dell’ambiente secondo cui i tassi di inquinamento dell’aria delle cittadine della Serbia centrale superano per 120 giorni all’anno i limiti posti dall’Unione europea.

Propaganda e Softpower

L’altro versante della cooperazione Cina-Serbia è rappresentato dalle relazioni diplomatiche e dal Softpower  con cui Pechino sta spingendo Belgrado sempre più lontano dall’Unione Europea. E a soffiare sul fuoco della narrazione mediatica della Cina, grande benefattrice del popolo serbo, è proprio la politica nazionale, nella figura del presidente Aleksandar Vučić  che in diverse uscite pubbliche ha sottolineato come il suo Paese sia “infinitamente grato per tutto” al dragone cinese, mentre “la solidarietà europea è una favola senza realtà”.

Le scelta della Serbia di affidarsi ad un partner straniero egemone, non solo nello sviluppo delle infrastrutture ma anche ad esempio nel sostegno durante la recente pandemia di COVID19, può quindi essere attribuita all’accessibilità dei finanziamenti e all’approccio pragmatico della Cina nell’esecuzione di progetti economici, ma anche all’insofferenza di Belgrado per il tira e molla di Bruxelles sull’adesione all’Unione.

Dallo scoppio della pandemia nel 2020, la retorica filocinese di Vučić  ha costituito un volano di eccezionale portata per la politica estera di Pechino nel continente europeo. Grazie alle parole al miele del presidente serbo, la Cina ha infatti guadagnato maggiore credibilità nella regione dei Balcani occidentali, ricambiando il favore con l’appoggio incondizionato all’attuale leadership serba.

E sebbene la dipendenza dall’economia cinese sembri attualmente interessare solo pochi Stati specifici della regione dei Balcani,  il rafforzamento delle relazioni bilaterali tra Belgrado e Pechino rappresenta comunque un grosso ostacolo per l’Unione europea. Infatti, mentre da Bruxelles fanno sapere (giustamente) che l’ingresso della Serbia nell’unione potrebbe avvenire solo con il corretto rispetto dei criteri di Copenaghen, dalle parti di Belgrado non hanno alcuna intenzione di rinunciare ai fiumi di denaro arrivati in questi anni dall’estremo oriente e perciò sono più che disposti ad assecondare con anima e corpo i capricci del dragone cinese.

Tommaso Di Caprio

 

 

 

 

 

 

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