Cosa c’è di più rilassante, distanziato e spopolato rispetto a una vacanza in montagna? Devono averlo pensato in molti, nella tarda primavera del 2020, quando timidamente si iniziava a navigare su Booking alla ricerca di una sistemazione per la tanto sospirata estate. La risposta, comunque, è presto trovata: sicuramente non la montagna italiana. E non la montagna italiana nel 2020, presa d’assalto dal turismo di massa.
I dati Enit relativi alle prenotazioni estive del 2020 evidenziano come la montagna abbia subito in modo più leggero le conseguenze della pandemia. Più leggero, al tempo del Covid, è comunque un eufemismo: strutture ricettive e attrazioni montane mostrano un afflusso di turisti pari al 39% in meno rispetto al 2019. Molto peggio, però, è andata a destinazioni costiere (-51%) e città d’arte (-49%). La pandemia, comunque, ha solo accelerato un trend che va delineandosi da qualche anno: la montagna è sempre più frequentata e, di conseguenza, attrezzata per gli scalatori di agosto.
Influencer a 3000 metri
Aria pura, ottimo cibo, clima fresco, intrattenimento per tutta la famiglia, il paesaggio con le nuance giuste per il feed di Instagram. Quello che una volta era relegato a luogo di riposo per anziani o di fatica per inarrestabili arrampicatori, ora è invece l’ultima destinazione fashion dell’influencing. Tutto molto bello, davvero: se non fosse che può essere molto pericoloso annoverare la montagna tra le mode del momento. Una moda, infatti, è qualcosa che va e viene, senza troppa preparazione. Ci piacciono quei sandali? Li compriamo e li indossiamo.
La montagna, invece, non è pret-à-porter. Non è lì, pronta da essere fruita ad uso e consumo di chi si improvvisa alpinista. E non è moralismo: è prudenza. La montagna sa essere molto pericolosa: non basta mettersi un paio di scarpe da ginnastica per diventare Messner. La montagna è di tutti ed è una cornice che, per quanto maestosa, nasconde minacce che possono essere affrontate solo da chi la conosce. Tra i trend più pericolosi, ad esempio, quello della fotografia improvvisata in tutte le sue sfumature. Avventurarsi sulle rocce per lo scatto inedito o portare il drone (pericoloso per gli elicotteri) ci possono far guadagnare qualche like in più, ma anche imbattere in qualche conseguenza più seria, data anche dall‘incapacità di leggere gli scenari banalmente relativi al meteo o alla propria stanchezza.
Un esempio su tutti: il lago di Braies
Ed è così che il lago di Braies diventa da piccolo paradiso alpino sconosciuto ai più a destinazione irrinunciabile per il turismo di massa. Una Riccione di montagna, praticamente. Grazie alla celebre serie Rai con Terence Hill “Un passo dal cielo”, il romantico bacino della Val Pusteria è diventato meta per 15mila turisti al giorno, che si traducono in un milione e mezzo di visite l’anno e 140 mila pernottamenti. Tutto molto bello per le casse di albergatori e ristoratori, ma la montagna, forse, non è ancora pronta e per alcuni non lo potrà mai essere, a meno che non si decida di snaturarla completamente. Tra i detrattori del turismo di massa, c’è chi è più possibilista e punta al compromesso: alcuni imprenditori vorrebbero portare avanti un progetto con diverse infrastrutture, tra cui un centro visite posto all’imbocco della valle, una stazione ferroviaria e un parcheggio. Il lago, secondo le ambizioni degli autoctoni, dovrebbe essere raggiunto solo con i mezzi pubblici, evitando il parcheggio (selvaggio e non) a ridosso delle sponde. Altri, però, si oppongono anche a questa opzione: la montagna non è un centro commerciale, circondata da autostrade comode e ampi parcheggi. Molti vorrebbero che rimanesse così, inviolata e quasi inaccessibile.
E’ possibile il turismo sostenibile in montagna?
Tutte le Dolomiti, poi, sono state lo scenario mozzafiato per il dibattito sulla sostenibilità del turismo in montagna. Tantissime sono le fotografie rimbalzate in rete poi relative al mancato rispetto delle norme di sicurezza, come l’utilizzo della mascherina o il mantenimento delle distanze. In Val di Fassa, la polizia locale ha dovuto dispiegare più uomini per tenere sotto controllo la situazione.
Il grido dall’allarme del Soccorso Alpino
Nelle altre regioni alpine la situazione non è diversa. Basta spostarsi in Valsassina, dalle parti di Lecco, per raccogliere le preoccupazioni degli addetti ai lavori e di chi la montagna la vive da sempre, nella sua complessità. E’ il Soccorso Alpino CNSAS ad alzare la voce su questioni apparentemente banali, come la gestione dei rifiuti e il necessario confronto di un percorso con le proprie capacità fisiche. Ma anche la semplice necessità di un abbigliamento tecnico adeguato che guardi prima alla complessità del sentiero che all’appetibilità del selfie.
Non solo in Italia
Il turismo di massa in montagna però è un fenomeno che non ha come orizzonte solo quello dei social, né come contesto solamente la pandemia. Si parla di “paradosso Himalayano“, infatti, per descrivere il fenomeno del turismo di massa che riguarda anche le cime dell’Everest e di altri giganti di Himalaya e Karakorum. Pur essendo infatti queste scalate estremamente pericolose e impegnative da molti punti di vista, negli ultimi anni, sono diventate vere e proprie “autostrade per ricchi”. Come riportano Daniele Izzo e Sabrina Longi su BlastingNews, infatti, il primo ad aprire la strada è stato il 55enne texano Dick Bass che, a suon di quattrini, dal 1985 ha raggiunto le cime più alte del mondo senza una preparazione particolare.
Il problema del turismo di massa in montagna
Che siano le Alpi o gli Appennini, l’approccio alla montagna, dunque, sta cambiando. Anche questo luogo di silenzio e fatica sta piano piano venendo eroso dalle ambizioni narcisistiche degli utenti, che portano soldi, ma neanche poi tanti, rispetto al prezzo pagato per la visibilità. Qual è infatti il beneficio del turismo di massa in montagna, un mordi e fuggi fatto di parcheggi selvaggi, inquinamento acustico, rifiuti abbandonati e chiamate ai soccorsi? Basti pensare che, nell’ultima estate, gli interventi di salvataggio hanno segnato un “per 10″. Per il clima rigido, per cadute e infortuni, o anche solo per la stanchezza eccessiva: cosa significa questo, se non aver sottovalutato la montagna?
Insegnare ad andare in montagna
Sin da piccoli, ci hanno insegnato a non sottovalutare la città, con il suo traffico, i cantieri, i suoi pericoli. Abbiamo poi imparato a non sottovalutare il mare: siamo andati al corso di nuoto e, più o meno, sappiamo cosa portarci in spiaggia se non siamo Michael Phelps. Eppure, nonostante braccioli, bagnini, materassini, gli incidenti accadono ancora. Nessuno, invece, ci ha insegnato ad andare in montagna, ma tutti, chissà perché, pensiamo non serva nulla di particolare. Se ci sentiamo alpinisticamente entusiasti, al massimo, andiamo a fare un giro alla Decathlon il sabato prima di partire.
Non per tutti
Prima di andare a fare i turisti in montagna, quindi, è necessario porsi in un’altra ottica. Quanto è sostenibile il turismo che intendo portare lì, con la mia persona? Quanto mi sono allenato e documentato per pensare di arrivare anche solo a duemila metri senza fare danni? A me, agli altri e alla montagna stessa? In questo 2020 abbiamo scoperto una cosa: tutti sono per la montagna, ma la montagna non è per tutti.
Elisa Ghidini