Cimiteri, teatri di tragedie, campi di guerra e luoghi degli orrori. Prende piede la branca più estrema del turismo macabro, il thanatourism, o turismo della morte. La pulsione verso l’oscuro ha dato vita a una vera e propria forma di esperienza organizzata, che prevede un management ben preciso e porta con sé questioni etiche accese e dibattute, cause storiche e conseguenze sociali.
Il trend si è diffuso negli ultimi due decenni ed è stato codificato anche in ambito accademico. Il turismo della morte si è affermato intorno alla metà degli anni novanta, a seguito di un’inaspettata e rapida propagazione del sentimento di fascino verso location che rimandano alla morte e immergono in un’atmosfera cupa.
Il termine thanatourism fu coniato dallo studioso Tony Seaton proprio negli anni novanta. Una parola che unisce Thanatos, la personificazione della morte nella mitologia greca, con il viaggio e l’esplorazione. L’interesse accademico per il turismo della morte è nato con la volontà di studiarne le dinamiche, ponendo particolare attenzione sulle cause e le conseguenze del fenomeno a livello individuale e comunitario, ma anche sul “management”, inteso come la creazione e la gestione di uno spazio visitabile e la cura della narrazione che vi si costruisce intorno. I primi studi sono stati effettuati su tour in siti come Auschwitz e Dachau, nei luoghi dell’Apartheid in Sudafrica e al memoriale della morte di JFK.
Un turismo controverso
Il turismo della morte ha come focus principale luoghi che rimandano alla scomparsa di singoli personaggi di rilievo, di interi gruppi di persone accomunate da caratteri religiosi, etnici o politici oppure di individui la cui vicenda ha avuto una risonanza mediatica particolare. Mete della memoria traumatica sono, ad esempio, le zone del disatro di Chernobyl, come la città fantasma di Pryp”jat, la ESMA a Buenos Aires, struttura militare utilizzata come centro di detenzione e tortura degli allora futuri desaparecidos, o i siti del massacro di Sand Creek, carneficina a danno delle tribù native di Cheyenne e Arapaho in Colorado.
La gestione di ambienti, mostre, visite ed esperienze dedicate alla morte e alla sofferenza pone inevitabili problematiche di natura etica. La celebrazione della memoria e la diffusione di una maggiore conoscenza non possono che essere considerate positivamente, ma emergono critiche sul tema della strumentalizzazione e della spettacolarizzazione di eventi tragici, che rischiano di ricadere nella distorsione della realtà e nella trasmissione di un messaggio anche involontariamente fuorviante.
L’amministrazione di luoghi della morte in quanto siti turistici prevede l’inevitabile elaborazione di strategie di marketing e la costruzione uno storytelling intorno alle tragedie, ai carnefici e alle vittime. Questo rende particolarmente ardua la curatela di siti di questa natura, durante la quale ci si ritrova, il più delle volte, a dover fare i conti con il rispetto per i defunti coinvolti, con la coerenza storica, con la sensibilità delle famiglie e con la responsabilità di divulgare un giudizio attraverso la narrazione della vicenda stessa.
L’esotismo dei figli del macabro
Negli ultimi anni si è intensificato l’interesse verso l’evasione e la creazione di itinerari turistici non convenzionali ed esotici, che portino a una forma di arricchimento personale interiore. Eros e Thanatos, in questo caso: le pulsioni verso la morte e la distruzione si presentano come l’esternazione dei contrasti dell’individuo, poiché si pongono in contrapposizione alla forza vitale dell’Eros. I luoghi del turismo della morte suscitano un forte fascino nei visitatori che si identificano nelle persone defunte o nei loro cari, provando un sentimento di amaro romanticismo risvegliato da un simbolico incontro con la morte.
Questo interesse è in aumento in particolare tra gli studenti. Ne sono responsabili i media, la maggior parte dei quali sottopone a continui stimoli legati alla violenza e alla distruzione. Da qui nasce l’attrazione per il macabro dei cosiddetti “children of the dark”, una generazione di giovani sedotti dalla guerra e dalla violenza e affascinati dalla parte più oscura dell’essere umano.
I recenti studi del professor Gegory J. Ashworth illuminano anche sulle prospettive positive del fenomeno. Il crescente interesse per il turismo della morte ha cause e effetti anche nella sfera socio-politica. Vi è, in alcuni casi, una tendenza alla pluralizzazione del passato nelle società più frammentate e afflitte da scontri etnici. In questo contesto assume un importante ruolo il thanatourism, che si presenta come strumento per la creazione di una memoria collettiva o come occasione per dare voce al punto di vista delle comunità locali, favorendo la promozione del territorio e delle sue origini storiche.