Dove vuole andare la Turchia? È questa la domanda che bisogna porsi, alla luce del golpe appena tentato il 15 luglio (e miseramente fallito). Questa domanda ne trascina altre a cascata: perché è fallito il colpo di stato? E, questo colpo di stato, è stato autentico o si è trattato solo di una messa in scena orchestrata dal presidente Erdogan per avere campo libero nell’arrestare e allontanare migliaia di oppositori?
Partiamo dalla seconda domanda. Il colpo di stato in Turchia, checché ne dicano dietrologi e complottisti da ogni dove, è stato autentico. Il problema principale è che è fallito, per cui Erdogan è riuscito a fuggire e a chiamare a raccolta la popolazione, che scendendo in piazza ha mandato all’aria il golpe. Tuttavia, la rapida sconfitta dei cospiratori ha suscitato numerose perplessità, e questo ci porta alla prima domanda: perché è fallito il colpo di stato in Turchia? Il golpe ha avuto origine dall’esercito (o, più precisamente, da una parte dell’esercito), con lo scopo di fermare la piega che sta prendendo la Turchia.
Infatti, la Turchia è mutata lentamente ma inesorabilmente negli ultimi quindici anni (da quando, ovvero, Erdogan è al potere). Ha conosciuto una crescita economica importante, e gran parte della popolazione che prima viveva in povertà (soprattutto nei villaggi dell’interno) ha potuto accedere ad un maggior grado di benessere, prima sconosciuto. La crescita economica è stata il propulsore della popolarità di Erdogan, e questa parte di popolazione costituisce la grande maggioranza dell’elettorato dell’AKP (partito di governo). Questo ha fatto si che diverse misure approvate a partire dal 2011 molto restrittive delle libertà personali, del lavoro della stampa e delle opposizioni politiche siano state approvate senza troppi scossoni, tanto da diventare parte della vita quotidiana dei turchi . Inoltre, è da segnalare un forte revival della religione islamica, cosa che in un paese laico come la Turchia, secolarizzato con la forza da Mustafà Kemal dopo la Prima Guerra Mondiale, è un fattore da non sottovalutare. Il golpe del 15 luglio è stato un tentativo disperato, da parte dell’esercito, di porre fine allo smantellamento pezzo dopo pezzo di quello stato laico islamico che per oltre un secolo è stato indicato come un esempio positivo – all’interno del mondo musulmano – della convivenza possibile tra religione e modernità. L’esercito infatti, tradizionalmente, è stato il guardiano della laicità dello stato (paradossalmente), ed è intervenuto già varie volte nel corso del XX secolo per ristabilire un equilibrio che rischiava di andare perduto. Cosa è andato storto stavolta?
Bisogna tenere presente intanto che la maggioranza della popolazione si è schierata compattamente dalla parte del presidente, vanificando il golpe militare e facendo chiaramente intendere che la piega che stanno prendendo le cose in Turchia è apprezzata dalla gente. Inoltre, l’esercito questa volta si è diviso, per cui solo una parte delle truppe e degli ufficiali si è ufficialmente esposta con un gesto simile, mentre i restanti militari si sono schierati a favore di Erdogan. Senza contare poi che anche il resto dell’arco politico turco si è schierato, ad azione in corso, contro il golpe. Tutto questo ha portato al fallimento del colpo di stato ed ad una epurazione come non se ne vedevano da tempo in Europa e dintorni: circa 3.000 membri delle forze armate arrestati tra soldati e ufficiali, e poi 2.700 magistrati sospesi, 36.000 insegnanti a cui è stata tolta la licenza o su cui si indaga, 8.700 dipendenti e funzionari del Ministero degli Interni sospesi, 1.500 dipendenti statali licenziati, 500 imam rimossi, 24 emittenti radio e televisive a cui è stata revocata la licenza. Erdogan cerca di approfittare dell’insperato regalo dei golpisti per liberarsi dei suoi più accaniti oppositori, ovvero i seguaci del predicatore Fethulla Gülen, che dagli Stati Uniti non lesina attacchi contro di lui. Il commissario europeo Johannes Hahn, titolare della richiesta della Turchia di entrare nell’Unione Europea, ha affermato il 18 luglio che il governo avesse già pronte da tempo liste di proscrizione da usare al momento opportuno. L’affermazione è grave ed ha anche un suo fondamento: come si sarebbe fatto altrimenti, in appena due giorni, ad indagare su e a scoprire quasi cinquantamila presunti coinvolti a vario titolo nel colpo di stato? Tra le altre cose, è stato proclamato lo stato di emergenza per tre mesi, per cui la convenzione sui diritti umani e le normali garanzie di cui godono i cittadini sono di fatto sospese.
Nonostante tutto ciò, ed un crescente clima di intolleranza verso costumi prima normali (es. le donne senza velo), è improbabile credere che Erdogan voglia trasformare la Turchia in una repubblica islamica sul modello dell’Iran, a cui viene ultimamente accostato. Questo perché è difficile che l’UE e gli USA tollerino una tale sterzata, ed Erdogan lo sa bene. La Turchia ha bisogno di essere considerata ancora come il principale alleato nell’area del Mar Nero e del Medio Oriente, per tenere sotto controllo Daesh e continuare a ricevere i soldi di Bruxelles per fermare l’arrivo dei profughi ed impedire loro che passino dai Balcani. In cambio di questo, è ragionevole ritenere che gli alleati tollereranno (pur criticando debolmente in pubblico) le manovre di Erdogan per silenziare le opposizioni e reislamizzare la Turchia, ritenendolo erroneamente il male minore (ritorna prepotente alla memoria la conferenza di Monaco del 1938). Infine, per quanto possa sembrare che sia in atto un disgelo con Putin, il vero alleato della Turchia sono e rimarranno gli USA, che non possono (e non vogliono) rinunciare ad Ankara per tenere sott’occhio le mire espansionistiche russe nella regione.
La partita a scacchi del Bosforo si sta giocando su un crinale strettissimo, e se uno dei contendenti dovesse tirare troppo la corda, le conseguenze per la stabilità dell’area sarebbero altamente imprevedibili. Non si respirava un’aria tanto serena dall’omicidio dell’arciduca Francesco Ferdinando.
Lorenzo Spizzirri