TTIP, de Benoist: l’Impero d’Europa dopo il declino degli Stati-nazione

Alain de Benoist de Gentissart (Alain de Benoist), intellectuel, philosophe et politologue francais. Chaque vendredi en deuxieme partie de soiree, Frederic Taddei recoit les personnalites qui font l'actualite. Paris,FRANCE-le 19/04/13/BALTEL_1051.23/Credit:BALTEL/SIPA/1305061139

Di Maurizio Martucci


Il No Global della Nouvelle Droite sta nel Ribelle, nel solco jungheriano: in rivolta contro l’omologazione e il cosmopolitismo apolide, il nuovo scontro è con l’ideologia del Medesimo, perché “confonde l’uguaglianza con la medesimità, quando invece l’uguaglianza implica la differenza. All’ideologia del Medesimo, bisogna opporre il principio di diversità.” E la costruzione dell’Imperium sarà la soluzione, l’alba nuova dell’Europa dei popoli e delle autonomie regionali, tramontati gli Stati-nazione sotto i colpi del ‘Transatlantic Trade and Investment Partnership’. L’Impero del terzo millennio “non ha niente a che fare con gli imperi coloniali o gli imperialismi moderni. L’Europa di Napoleone e di Hitler non era altro che un espansionismo nazionale.” L’amalgama sta nell’identità culturale, plurima e differenziata: è la risposta all’ideologia neoliberista, origine del male, il turbo capitalismo dello Stato Mercato. Questo lo scenario tratteggiato dal filosofo francese Alain de Benoist ne Il trattato transatlantico, l’accordo commerciale USA-UE che condizionerà le nostre vite” (Arianna Editrice), un’interpretazione sincretica in stile social-tradizionalista del perimetro di gioco globale nel quale si gioca la partita del TTIP, 2milioni di firme di protesta già consegnate a Bruxelles (54.000 dall’Italia) per dire ‘no’ all’accordo lobbistico delle multinazionali che metterebbe in pericolo diritti, servizi, ambiente e salute. E sovranità nazionale.




Le pagine di de Benoist sembrano rimpiangere un ideale ‘Alto’ di democrazia e partecipazione nell’alternanza degli eletti, valori sviliti dall’autoreferenzialità mondialista del grande mercato transatlantico: la governance oltre la tecnocrazia di voraci società d’affari, di investimento e scambi commerciali, culmina nella trama dei negoziati segreti iniziati nel 2013. Lo scongiurato TTIP: “Il Parlamento europeo non è stato neppure preso in considerazione – scrive il fondatore della nuova destra – Sono in molti a parlare di ‘negoziazioni commerciali segrete’, per trattative che avvengono a porte chiuse. I cittadini non sono a conoscenza di nulla, mentre questo non è certamente il caso dei ‘decisori’ appartenenti ai grandi gruppi privati, alle multinazionali e ai diversi gruppi di pressione, che invece partecipano regolarmente alle discussioni.”

Escatologia statunitense, nel TTIP si realizzerebbe la fase 2 del post Seconda Guerra Mondiale: l’espansione planetaria del libero mercato, terreno di una guerra ‘invisibile’ condotta in nome di un neo-colonialismo mascherato, è esplosa dopo la caduta del Muro di Berlino, la fine del blocco Sovietico e l’arrivo della Cina sui mercati. L’incomodo di troppo, da contenere. Citando numerosi pensatori attuali, ma pure Carl Schmitt, de Tocqueville e Max Weber, persino Marx torna utile a de Benosit per rimarcare l’equazione in atto: popoli indeboliti = Stati deboli, il vero obiettivo mimetizzato nella trappola degli accordi transatlantici: “poiché la pulsione fondatrice del sistema capitalista è quella di accrescere in modo continuo la produttività, ma anche di accumulare sempre più capitale e trasformare le società in sistemi di mercato, qualsiasi cosa che ostacoli l’espansione del mercato, a partire dalle frontiere nazionali, dev’essere soppresso. È ciò che realizza la mondializzazione.

La ‘sovraclasse globale’ (il 10% della popolazione ha l’85% delle ricchezze planetarie) attuerebbe uno scontro in chiave schimittiana: la civiltà del Mare (‘talassocrazia’ statunitense) fagociterebbe quella di Terra (l’Europa) attraverso un ‘dumping sociale’. Come? Nella deindustrializzazione, nella privazione di sovranità monetaria, nella creazione di nuove masse di povertà, nell’esplosione della xenofobia e radicalizzazione dell’Islam, in un insieme sistemico di matrice totalitaria che soffocherebbe diritti e libertà nell’idealtipo del Medesimo ‘omogeneizzato’, con l’esercizio di autodeterminazione del destino assorbito nella ‘società liquida’, senza tempo né spazio, un’anestesia ‘gassosa’ per conoscenza e consapevolezza sotto forma di ‘social’ e nuove tecnologie di comunicazione. L’arma del controllo delle masse: “uniformizzazione, sradicamento delle differenze e dei valori condivisi, annientamento delle culture, destrutturazione dei popoli.”




Se il target USA è americanizzare il mondo, è vero pure che anche gli yankee però cedono alla mondializzazione. Dietro non c’è il Grande Vecchio né un unico burattinaio occulto, ma un’operazione di sistema dettata del gotha dell’alta finanza che attaccherebbe al cuore i fondamenti della politica, mercanteggiata fino al silenzio. E’ qui che tocca al Ribelle dire ‘no’. E qui che, scrive nel libro de Benoist, non c’è bisogno di uscire dalla moneta d’Europa per costruire un’alternativa irrealizzabile. Perché l’exit strategy sta nella nostra cultura millenaria. La risposta ce l’abbiamo in casa, l’alternativa siamo noi: è la riproposizione di un’Imperium come sintesi hegeliana di separazione della nazione dallo Stato.Malgrado le delusioni che ha generato, la costruzione europea resta comunque più necessaria che mai. Perché? Per permettere a quei popoli europei lacerati da guerre e conflitti di riprendere coscienza della loro comune appartenenza a una stessa area culturale e di civiltà e di assicurarsi un destino comune. Questa realtà complessa dell’Europa rende illusorio ogni approccio tendente a ridurla soltanto a una delle sue componenti, a scapito delle altre. In realtà, l’Europa deve avere l’ambizione di essere, una potenza capace di difendere i suoi specifici interessi, un polo di regolazione in un mondo multipolare o policentrato e un progetto originale di cultura e civiltà.” Per non morire tutti globalizzati, a stelle e strisce.

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