Il ritorno di Trump tra protezionismo e opportunità per l’Europa

Trump tra protezionismo Trump

Paolo Desogus

Professore associato di letteratura italiana contemporanea alla Sorbona di Parigi


Trump tra protezionismo e opportunità riporta gli Stati Uniti su un cammino che intreccia interessi nazionali e un’economia meno aperta al commercio globale. Le sue politiche, in continuità con alcuni elementi dell’amministrazione Biden, segnano il ritorno a un’economia americana più chiusa, in cui l’autosufficienza e il rilancio dell’industria interna sono priorità. Per l’Europa, questa svolta rappresenta sia una minaccia sia una possibilità di ripensare le proprie strategie economiche e abbandonare le vecchie logiche neoliberiste.


L’idea che ci fosse un testa a testa tra Trump e Harris è stata una falsa illusione dei media. Come molti analisti avevano osservato e come era facilmente intuibile dai comportamenti della grande finanza e delle grandi multinazionali, Trump è sempre stato in vantaggio nella corsa alle presidenziali.

Credo che sia falsa anche la rappresentazione che vede nel successo di Trump il ritorno del fascismo. Non ho alcuna stima per il nuovo presidente. Lo considero principalmente un nemico di classe. Ma il fascismo è un’altra cosa, è un fenomeno nostro, italiano ed europeo. L’applicazione di questa etichetta per gli Stati Uniti è molto rischiosa, porta più che altro fraintendimenti inutili.

Devo dire che non credo che gli Usa vivranno nemmeno un’involuzione di tipo autoritario come affermato da qualcuno. Certamente, le politiche di Trump non favoriranno le classi più disagiate. Aumenterà la lotta all’immigrazione, fatto questo che però riguarda tutti i paesi ricchi. La volgarità, il razzismo, quel misto assurdo di rutilante turbocapitalismo e regressione selvaggia incarnata dai rigurgiti religiosi e delle mille sette reazionarie sparse per l’America profonda aumenteranno. Quel poco di stato sociale rimasto verrà spazzato via. Le grandi multinazionali saranno favorite attraverso politiche protezionistiche. Però tutto questo c’è già. In misura più limitata, ma c’è già. Gli Usa non sono né la New York di Woody Allen, né la California del benessere e delle villette unifamiliari dove si vive felici e contenti.

La chiave per interpretare il nuovo corso degli Usa, per quel che riguarda l’Europa, credo che sia l’aumento dei dazi promesso da Trump. Dico “aumento” e non “introduzione” perché Biden non ha eliminato quelli stabiliti precedentemente dalla prima presidenza Trump. Qui occorre allora superare una serie di equivoci. Biden non ha liquidato il trumpismo; al contrario, ha di fatto mandato in soffitta il neoliberismo partendo da ciò che ha lasciato Trump. Ha continuato sulla linea di chiusura del mercato e avviato una delle più grandi – forse la più grande – opera di rilancio economico industriale della storia attraverso l’uso dei fondi pubblici. Lo so che noi siamo più sensibili alla politica estera e alle guerre in Ucraina e in Medio Oriente. Ma la liquidazione del neoliberismo da parte di Biden è un fatto concreto e non va sminuito. Farlo sarebbe da idioti.

Ora Trump si ritrova a guidare un Paese economicamente più forte di quello che aveva lasciato. La sua idea di chiudere ulteriormente l’economia americana col protezionismo, seppure in una chiave di destra che favorisce il grande capitale, può ben sposarsi con quanto ha lasciato Biden. Ci sarà dunque una virata a destra, ma in continuità col superamento del neoliberismo. Quello che dunque bisogna chiedersi, dalla prospettiva italiana ed europea, è cosa fare ora.

Come dicevo, non penso che gli Usa stiano precipitando nella barbarie. Penso al contrario che sia l’Europa a vivere un pericolosissimo declino. I quattro anni di Biden, e la riflessione sulla fine del neoliberismo (peraltro esplicitamente teorizzata in un documento della Casa Bianca che a suo tempo avevo fatto circolare anche io) non hanno sortito alcuna riflessione dalle nostre parti. L’Europa e l’UE non sanno cosa fare e in forma autolesionista ripropongono le vecchie teorie mercantiliste che hanno fatto fallire il progetto europeo, trasformando l’UE in un campo di competizione tra stati nazionali.

Anche al livello statale la situazione è disastrosa. La Francia è bloccata dalla follia di un presidente mediocre e provinciale. L’Italia, lasciamo perdere, ha un governo con gente assurda incapace di formulare un pensiero autonomo, figuriamoci se è in grado di elaborare una lettura sui grandi processi internazionali. La Germania vive il suo momento sadomasochista con la celebrazione dell’austerità e del mercantilismo senza che se ne comprenda il senso ora che c’è la guerra tra i dazi e che la guerra in Ucraina ha allontanato la Russia. L’Ue è in mano a una politicante di bassissimo livello, opportunista e servile, che ha come unico scopo la propria sopravvivenza politica. La Bce invece è un gigante con potenzialità enormi frenato dall’ideologia.

L’aumento dei dazi promessi da Trump con annessa crisi della globalizzazione e la fine del neoliberismo richiederebbero una risposta economica simile a quella che Biden ha lanciato negli Usa. Non sto parlando di piani quinquennali o di collettivizzazione dell’industria (che sarebbero bellissimi, ma che non vedo praticabili, purtroppo), sto più banalmente parlando dell’esigenza di ripristinare delle politiche keynesiane di rilancio economico.

Non credo, e gli Usa sono una dimostrazione, che un nuovo patto socialdemocratico possa risolvere le grandi inquietudini dell’Occidente, la sua crisi di identità culturale e la regressione dovuta alla frammentazione tribale delle istanze sociali e individuali. Tuttavia, in questo momento, non vedo altra strada per evitare la china autodistruttiva dell’Europa. Gli Usa hanno Trump, è vero. Ma Trump è un fenomeno tutto interno all’America che abbiamo conosciuto da sempre. La democrazia americana, forse anche in virtù del suo carattere farraginoso, è capace di contenerlo. Vedo molto peggio l’Europa. Dalle nostre parti le pulsioni destrorse spingono verso la revisione dell’ordine democratico.

Il trumpismo potrebbe quindi essere un’occasione. Può diventare fatale se si continuano a perseguire le vecchie politiche neoliberiste, incompatibili in un regime internazionale di scambi che ha introdotto i dazi. Può invece diventare un’opportunità se si sceglie di reagire al trumpismo con politiche nuove, improntate alla crescita economica interna e sostenibile, abbandonando le vecchie assurdità tedesche del mercantilismo e dell’austerity.

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