In risposta al test atomico nordcoreano, Trump minaccia Kim con l’uso dell’arsenale nucleare. L’ambasciatrice statunitense, Nikky Haley, interviene lo scorso pomeriggio al consiglio delle Nazioni Unite: “quando è troppo è troppo”.
Fa parte dell’agenda degli Stati Uniti, un contrattacco nucleare, nel caso di una minaccia straniera come quella di Kim Jong- Un, che rischia di colpire il suolo americano.
Il presidente della Corea del Sud, Moon Jae-in, adesso non più favorevole ai tavoli di pace, ha risposto al test dei vicini con la simulazione di un attacco missilistico contro un sito nucleare del nord: dei caccia f-15 armati e un missile terra aria “hyunmoo” sono partiti per colpire vari punti nel Mar del Giappone, posti alla stessa distanza del sito nucleare di Punggye-ri, sito nel nord est della Corea del Nord. Ogni missile è andato a segno.
Gli Usa considerano lente le risposte dei principali partner commerciali della Nord Corea, Cina e Russia, in realtà di gran lunga più diplomatiche e pacate.
Fonti: nationalinterest.org
Lo “stato canaglia”, come lo definisce Trump, continua indisturbato i propri test missilistici e nucleari. Per questa ragione viene inviata, in aggiunta alle altre due, una nuova portaerei Usa a reazione nucleare; la Corea del Sud riferisce l’arrivo di altre 4 batterei Thaad alla base di Senjou.
Gli Stati Uniti attualmente posseggono un arsenale di circa 1400 ordigni nucleari; il comandante in capo dell’esercito è, di volta in volta, ciascun presidente degli States, i quali portano sempre con sé una valigetta nera contenente i codici delle testate e un elenco di tutti gli obiettivi da colpire. Per il lancio di una o più testate nucleari basterebbe una telefonata del presidente al segretario della difesa.
Vladimir Putin dal Cremlino invita gli Usa alla moderazione.
Pechino afferma in direzione della Corea del Nord: “non si commettano azioni sbagliate”.
Russia e Cina, nazioni con arsenale atomico, non vogliono rischiare il nucleare sulla penisola coreana:
gli effetti del post nucleare sarebbero devastanti per le popolazioni dei due Stati; senza dimenticarsi della debole Mongolia, la Corea del Sud, e il Giappone, già provato da Fukushima nel 2010
La distanza tra Pechino e la Corea del Nord è di soli 810 km.
Pechino, stanca delle provocazioni di Kim, si rende disponibile ad attuare un embargo petrolifero, anche se parziale, chiedendo inoltre il congelamento dei test nucleari a Pyongyang e uno stop alle operazioni militari congiunte di Usa e Corea del Sud, ai confini con il nord.
La Russia è l’unica nazione ad appoggiare Pechino.
Per i due Stati, una ancor più massiccia presenza americana, oltre al pericolo dell’atomica, sarebbe vista come pericolosa e molesta.
Gli Usa trovano offensive le risoluzioni della Cina: sostengono infatti la necessità di aumentare, proprio in questo momento, la pressione sul dittatore nordcoreano. La Honey sottolinea: “la crisi va ben oltre le Nazioni Unite: gli Stati Uniti guarderanno a tutti i Paesi che fanno affari con la Corea del Nord come a Paesi che sostengono il suo programma nucleare”.
Dal resto del mondo, invece, Gran Bretagna, Francia e Italia rinnovano il fermo invito ad inasprire le sanzioni contro lo stato del nord. In particolare, l’Italia intima con forza la fine di qualsiasi test da parte di Pyongyang.
La Merkel assicura a Trump, durante un colloquio telefonico, il massimo impegno affinché l’Europa faccia pressioni alle Nazioni Unite, per una veloce ratificazione delle nuove sanzioni.
Sarebbe ora auspicabile un totale blocco di qualsiasi commercio con la Corea del Nord. Fuori si spera in aiuti alimentari per l’inerme popolazione.
Se la Corea del Nord decidesse il lancio di un’atomica su Seul, cadrebbe su una città popolata da 10 milioni persone.
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Forse il desiderio del sanguinario dittatore Kim Jong-Un è la sola deterrenza nucleare e, molto probabilmente, la conquista della ricca sorella gemella.
Non sappiamo quali siano i pensieri della mente del dittatore nordcoreano. Proclami di guerra e test militari potrebbero essere tremende e squilibrate autocelebrazioni. Queste sarebbero utili a rafforzare l’immagine interna di un leader pronto a sfidare il mondo intero, nella convinzione che alla fine non accada nulla o che, in caso di guerra, si esca vittoriosi contro il nemico americano.
Non sappiamo neppure quali potrebbero essere le reazioni di Russia e Cina al lancio di ordigni nucleari contro la Corea del Nord. Reazioni sicuramente temute e tenute in conto dall’esercito degli Stati Uniti. Oggi, con il nodo della Corea del Nord, il rischio di una guerra nucleare potrebbe diventare realtà.
Non sembra, però, che in tutto questo tempo Kim Jong-Un abbia preso sul serio tutte le parole di Trump; secondo Rampini, Trump lascia la parola ai militari per intimidire il giovane dittatore. A parlare è il capo del pentagono, Jim Mattis, che comunica: “siamo pronti a massicce risposte militari”.
Preghiamo che Trump non scelga l’atomica e lasci spazio a risoluzioni Onu e diplomazia. Intanto il Presidente, spaventato dalla gravità di un conflitto termonucleare e per gli Usa, stupisce invitando dei pastori evangelici a pregare.
Marco Prestipino