La Camera passa ai democratici ma al Senato aumenta il vantaggio repubblicano: i risultati di Midterm si prestano ad una doppia lettura. Vincono i democratici dove hanno candidati più progressisti, ma forse proprio per questo Trump può sorridere
I risultati
La Camera passa ai democratici ma al Senato aumenta il vantaggio repubblicano. Continua il muro contro muro, che certifica un’America spaccata in due.
Trump, oggi più che mai, è contestualmente il Presidente più amato e più detestato nella storia recente e le elezioni di Midterm non tradiscono questo quadro.
Con un’affluenza record alle urne, i democratici registrano un + 9% nel voto popolare, ma quella che per i sondaggi doveva essere un’onda blu (e che il Presidente ha sprezzantemente declassato a “increspatura”) non sfonda la barriera repubblicana.
Vero è che il partito di Obama (si, ancora di Obama, e la difficoltà nel rinnovarsi è forse uno dei maggiori problemi in casa dem) vince tante piccole battaglie, espugnando anche distretti storicamente repubblicani, ma il colpo grosso continua a mancare.
Finisce con un sostanziale pareggio che consente una lettura a due versi.
Da una parte Trump può ben rivendicare un successo in elezioni, come quelle di Midterm, storicamente avverse al Presidente in carica. Dall’altro lato canta vittoria anche Nancy Pelosi, futura speaker della Camera a maggioranza democratica.
Come sempre in questi casi, non ha perso nessuno.
Le sfide
L’onda blu non sfonda gli argini, si diceva: eppure i dem ci avevano provato, sfoderando anche taluni pesi massimi. Invano.
E’ stato il caso di Beto O’Rourke, astro nascente del partito democratico, chiamato alle armi per espugnare il repubblicanissimo Texas, nella corsa per il Senato.
Dato in sorprendente vantaggio ad inizio scrutinio, il candidato quarantaseienne (da molti paragonato ad Obama) ha dovuto, alla fine, arrendersi di fronte al consolidato predominio territoriale dell’ultraconservatore Ted Cruz.
Forse non uno stop definitivo alle ambizioni presidenziali di O’Rourke, ma certamente nemmeno la foto di copertina del giorno dopo.
Testa a testa anche nella contesa Florida, dove per una manciata di voti è fallito l’assalto al Senato del Governatore democratico e afroamericano Gillum, battuto dal repubblicano DeSantis.
Entrano invece al Congresso in quota dem Rashida Tlaib e Ilhan Omar, la prima figlia di immigrati palestinesi e la seconda rifugiata africana.
E’ la prima presenza di donne musulmane nella Camera dei Rappresentanti.
La copertina in casa dem spetta però, senza dubbio, a Alexandria Ocasio-Cortez, la ventinovenne attivista di “sinistra-sinistra”, che, dopo aver vinto a sorpresa le primarie democratiche a New York, si è imposta facilmente nel distretto progressista del Bronx.
Ocasio-Cortez è la donna più giovane mai eletta nella storia del Congresso ed è subito stata innalzata ad icona pop socialista, con qualcosa di più di un pensiero alle prossime presidenziali.
Il voto democratico
Un’analisi complessiva mostra come i democratici abbiano vinto, anche con notevole distacco, tendenzialmente dove erano già forti.
Non solo: hanno vinto dove hanno presentato candidati marcatamente progressisti, vicini alle posizioni del Senatore Sanders.
Laddove invece si trattava di contendere feudi storicamente repubblicani, il GOP ha tenuto e persino rilanciato. In molti casi, anzi, su questi territori, i candidati dem, scelti nell’ala più moderata, per cercare di attrarre l’elettorato repubblicano, sono stati letteralmente spazzati via.
Ancora una volta una dimostrazione dello straordinario effetto “divide et impera” di Trump: vince chi è con lui, vince chi è contro di lui e in mezzo il nulla.
Perché Trump può sorridere
Il Presidente si aggiudica così ancora una volta il ruolo di unico vero protagonista della scena, portandosi a casa almeno tre risultati di assoluto rilievo.
In primo luogo, la spaccatura del partito democratico, che, in vista delle presidenziali, dovrà imparare a conciliare l’anima radicale alla Ocasio-Cortez con l’anima moderata alla Nancy Pelosi: impresa tutt’altro che semplice in assenza di un leader carismatico e unitario.
In seconda battuta, la trumpizzazione del partito repubblicano, che riconosce ormai nel Presidente un eccezionale aggregatore di voti, mentre le personalità più critiche verso il tycoon (leggesi McCain, Corker e Flake) escono via via di scena.
Infine persino la conquista democratica della Camera dei Rappresentanti potrebbe, in ultima analisi, finire per favorire Trump.
Da adesso in poi, il Presidente avrà infatti una scusa già confezionata per giustificare l’eventuale mancata realizzazione del programma. Un nuovo nemico, insomma.
Esattamente quello che serve per alimentare ulteriori divisioni nel nome di Trump.
Se poi davvero i democratici inizieranno una campagna per l’impeachment del Presidente (e di campagna pubblicitaria si tratterebbe, poiché la decisione finale spetta al Senato, a maggioranza repubblicana), la vittimizzazione del “tycoon del popolo” gli scoperchierà definitivamente un’autostrada verso la rielezione.