Trump è isolato, esemplare il flop dell’asta per le trivellazioni in Alaska

Trump è isolato

Dopo l’assalto al Congresso americano, il presidente americano Donald Trump appare sempre più isolato. I Democratici infatti stanno valutando l’impeachment che richiede però una procedura lunga incompatibile con la scadenza del mandato il 20 gennaio.

Donald Trump è finito anche nel mirino dei colossi della Silicon Valley. Facebook e Twitter hanno deciso di bloccare in modo permanente gli account del presidente uscente per evitare che i suoi post, letti da milioni di followers, possano incitare alla violenza e a una nuova insurrezione.

Mancano una decina di giorni all’insediamento del presidente eletto Joe Biden e della sua vice Kamala Harris. Gli Stati Uniti sembrano decisi a voltare pagina lasciandosi alle spalle per sempre Donald Trump che, salvo altri colpi di scena, ha riferito di essere pronto a lasciare la Casa Bianca e ad agevolare la transizione in modo pacifico.

Donald Trump è oramai un presidente indebolito e da cui in tanti, anche alcuni fedelissimi, preferiscono prendere le distanze.

Donald Trump è isolato: il flop all’asta per le trivellazioni in Alaska 

La conferma dell’isolamento del presidente uscente arriva dall’Alaska, Stato federale a maggioranza repubblicana, dove l’asta bandita per le esplorazioni di giacimenti di petrolio e gas metano nell’Artic National Wildlife Refuge è andata pressoché deserta.

L’asta, autorizzata da Donald Trump e dal governo dell’Alaska il giorno successivo all’Election Day del 3 novembre 2020, si è svolta il giorno dell’assalto a Capitol Hill a Washington.




Non ci sono state offerte da parte delle grandi compagnie petrolifere americane. La più importante è arrivata da una agenzia statale, The Alaska Industrial Development and Export Authority, il cui direttore esecutivo, Alan Witzner, ha dichiarato:

«L’Alaska preserva il diritto di utilizzare in modo responsabile le sue risorse naturali».

Per la metà dei ventidue lotti dell’Artic National Wildlife Refuge messi all’asta dal Bureau of Land Management, l’agenzia federale che gestisce il suolo nazionale e quindi anche i parchi, sono state presentate alcune offerte da piccoli privati, che saranno costretti a sostenere costi elevati per le attività di esplorazione e di trivellazione del suolo.

Ci vorranno infatti due anni per individuare le riserve e almeno cinque perché l’estrazione del greggio e/o del gas naturale entri a pieno regime. I tempi sono dunque molto lunghi. E le big company del petrolio sono consapevoli che con la nuova amministrazione, come annunciato in campagna elettorale da Joe Biden, le politiche ambientali potrebbero farsi più stringenti. Il presidente eletto infatti ha già dichiarato di volere proteggere le riserve e i parchi naturali dalle trivellazioni e da qualsiasi forma di sfruttamento economico.

L’area è un luogo sacro per le popolazioni autoctone, gli indigeni Gwich’in. E da anni è difesa dagli ambientalisti e dalle comunità locali per la sua ricchezza. La riserva ospita specie animali fragili come gli orsi polari, i caribù, i lupi e altri uccelli autoctoni.

Autorizzare le trivellazioni in Alaska è stata una mossa propagandistica

Donald Trump era consapevole che avrebbe perso le elezioni. Ma non ha perso tempo. Autorizzare le trivellazioni in Alaska infatti è stata una mossa propagandistica. Il tentativo andato fallito di rendere più difficile per Biden mantenere le promesse elettorali. In particolare quelle più ambiziose sulla transizione energetica.  Ma anche le principali banche americane hanno deciso di non finanziare le trivellazioni nella riserva.

Circola una proposta di ricerca, sottoscritta da un gruppo di nativi (Kaktovik Inupiat Corporation),  per dimostrare gli effetti dannosi causati dalla rottura dei ghiacciai. Dallo scioglimento della cortina di neve che ricopre la tundra della riserva e l’uso di segnali acustici per individuare i depositi di greggio e metano. L’obiettivo è fermare il progetto, avviato da Trump, di aprire il nord dell’Alaska allo sviluppo del settore petrolifero. Per ora ci sono 18 milioni di acri aperti alle trivellazioni.

La scusa che autorizzarle sia stata una scelta obbligata per assicurare al Paese «la necessaria sicurezza energetica da qui ai prossimi dieci anni» non è credibile. Donald Trump è da sempre un negazionista dei cambiamenti climatici, e dal giorno dell’insediamento ha tentato di convincere l’America che la transizione energetica fosse un processo economicamente insostenibile per il Paese.

L’asta delle trivellazioni in Alaska è solo la punta dell’iceberg.

Un Trump isolato tenta di insabbiare il report sul cambiamento climatico negli USA

È il primo dell’anno, e il New York Times  pubblica un lungo articolo intitolato “Come Trump ha tentato, ma ha ampiamente fallito, di far deragliare il report americano sul clima”.

Da anni il gruppo di valutazione nazionale sul clima (National Climate Assessment) guida le decisioni delle amministrazioni americane. Centinaia di scienziati, accademici, funzionari federali  hanno unito le forze per divulgare le migliori scoperte sul cambiamento climatico. Ma Donald Trump è deciso invece a intraprendere una campagna diffamatoria nei loro confronti.

Nel novembre 2020, il presidente Trump decide di rimuovere Michael Kuperberg. L’allora responsabile del programma di ricerca sul cambiamento globale (U.S Global Change Research Program). E lo sostituisce con uno scienziato a lui fedele, a tal punto da essere un noto negazionista del global warming nel mondo scientifico americano.

Poco prima della pubblicazione del report, autorizzata il giorno del Ringraziamento con l’intento di oscurarne il contenuto, Trump ha additato gli scienziati come dei filo democratici e bugiardi.

Nel documento gli esperti scrivono che il riscaldamento globale causerà perdite enormi per le infrastrutture nazionali, le proprietà e impedirà al Paese di crescere entro la fine del secolo. Un monito che Trump e la sua amministrazione hanno liquidato così:

«Non ci credo». «Non è basato sui fatti». «Il report enfatizza solo gli scenari peggiori».

Un Trump isolato tenta di infangare la scienza, e di ostacolare Joe Biden per i prossimi quattro anni. Prima di Capitol Hill, di certo, con l’intenzione di presentarsi alle prossime elezioni presidenziali. E nel frattempo, il U.S Global Change Research Program ha già annunciato un prossimo documento sui cambiamenti climatici entro il 2023.

Auguriamoci che gli Stati Uniti, anche l’America profonda che i migliori analisti ritengono sia figlia di Trump, cambi. E si convinca che il clima non aspetta.

Chiara Colangelo 

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