Non è piaciuto a Trump il fatto che la Corte Penale internazionale abbia avviato a Marzo un’indagine sugli eventuali crimini di guerra commessi da esponenti delle Forze armate americane e della CIA durante la loro permanenza in Afghanistan.
Così, come risposta al procedimento giudiziario annunciato dalla Corte con sede all’Aja, il Presidente americano ha emanato un Decreto presidenziale che prevede la possibilità di imporre sanzioni nei confronti dei funzionari della CPI.
In particolare, secondo la nuova norma, chiunque sia coinvolto nei tentativi della Corte penale internazionale di investigare cittadini americani o degli Stati alleati, può essere soggetto a sanzioni. Tra i provvedimenti che è possibile adottare nei confronti dei membri della CPI, oltre a quelli di natura economica, vi è il ritiro del visto per entrare negli Stati Uniti.
L’indagine penale cui Trump sta cercando di opporsi riguarda la condotta adottata dai membri delle Forze armate americane e della CIA nel contesto del territorio afghano.
L’iter di questa indagine è iniziato nel Novembre 2017, quando la procuratrice capo della Corte penale internazionale, Fatou Bensouda, ha depositato alla Camera preliminare, l’organo che ha il compito di approvare un’investigazione, un documento in cui venivano presentatati i “ragionevoli motivi” che portavano a pensare che alcuni esponenti delle Forze armate americane e della CIA avessero commesso, a partire dal 2003, crimini di guerra nelle sedi di interrogatorio segrete. Tra i crimini citati vi sono quello di tortura e stupro.
La richiesta preliminare avanzata da Bensouda fu rigettata nell’Aprile 2019.
Il via libera alle indagini sugli eventuali crimini di guerra commessi da personale americano in territorio afghano è arrivato, però, nel mese di Marzo di quest’anno, grazie alla decisione della Camera di appello della Corte penale internazionale.
Già all’indomani della decisione il Segretario di stato americano, Michael Pompeo, aveva firmato una nota in cui definiva la scelta della CPI di indagare sulla condotta delle forze americane presenti sul territorio afghano come “un’azione che lasciava senza fiato, presa da un irresponsabile corpo politico mascherato da organo giuridico”.
I rapporti tra gli Stati Uniti e la Corte penale con sede all’Aja, del resto, non sono mai stati buoni.
L’America è uno dei pochi stati membri dell’ONU a non aver mai ratificato lo Statuto di Roma con il quale la CPI è stata fondata. La possibilità di indagare sui crimini di guerra dei cittadini americani in Afghanistan, per questo, è giustificabile solo grazie al fatto che quelle eventuali violazioni del diritto internazionale sono state compiute sul territorio di uno Stato membro, quale è quello afghano.
Secondo il punto di vista dei membri dell’amministrazione Trump l’avvio di questa indagine è un attacco ai diritti dei cittadini americani e un tentativo di indebolire il principio della sovranità nazionale. Sulla base di questa posizione, Kayleigh McEnany, portavoce della Casa Bianca, ha dichiarato che ciò che il decreto presidenziale ha dimostrato è che “gli Stati Uniti continueranno a difendere con ogni mezzo necessario i loro cittadini e i loro alleati da ogni ingiusta accusa portata avanti dalla Corte penale internazionale”.
Ciò che l’amministrazione Trump sta minando, con le sue posizioni e i suoi provvedimenti, è l’idea di giustizia sovranazionale.
La fondazione della Corte penale di giustizia, infatti, è l’imperfetto punto di arrivo di un percorso iniziato alla fine del secondo conflitto mondiale. L’umanità, in quel momento, dovette fare i conti con la propria capacità di agire in modo sistematicamente crudele e si trovò a ripensare il modello di diritto che aveva reso gli atti compiuti durante il periodo nazista leciti, possibili. Quelle azioni, inoltre, non erano riconducibili a nessuna fattispecie giuridica preesistente ed erano state compiute da persone di diverse nazionalità. Si stava poi andando verso la formulazione formale dell’idea della dignità universale.
Tutto questo fece avvertire la necessità di fondare un’istituzione giuridica internazionale che potesse essere comparata ai tribunali nazionali.
Il primo passo in questa direzione venne compiuto l‘8 Agosto 1945, quando venne promulgato lo Statuto di Londra con il quale venne istituito il tribunale militare internazionale, conosciuto con il nome di Tribunale di Norimberga.
L’elemento di assoluta novità fu l’introduzione, in quella occasione, di una nuova fattispecie di reato, i crimini contro l’umanità, definibili come delitti lesivi della dignità dei singoli individui che, per questo, rappresentano una minaccia per l’intero genere umano.
Le problematiche formali che vennero poste alla fondazione del Tribunale di Norimberga, il cui mandato era limitato alla persecuzione dei crimini nazisti, furono molteplici. Tra queste il fatto che le forze alleate si erano autolegittimate al fine di giudicare alti funzionari di un governo, che al momento in cui i fatti venivano commessi, era considerato legittimo. Fu Kelsen a definire, con un’espressione rimasta celebre, il Tribunale di Norimberga come il luogo della giustizia dei vincitori.
La linea che si affermerà, però, sarà quella per cui, dal momento in cui all’umanità si era presentato un nuovo tipo di reato, il diritto aveva il dovere di riconoscerlo e sanzionarlo.
Proprio questa linea di pensiero conduce alla promulgazione, avvenuta nel 1998, dello Statuto di Roma che regola il funzionamento del Tribunale penale internazionale attivo dal 2002, anno del raggiungimento della 61esima ratifica del suo documento fondativo.
La Corte penale Internazionale ha giurisdizione sovranazionale e la sua missione è quella di processare gli individui, non gli Stati, responsabili di crimini di guerra, genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di aggressioni.
In accordo con la storia e gli indirizzi di pensiero che lo hanno posto in essere, essa ha il ruolo fondamentale di difendere i cittadini di tutto il mondo dalle fattispecie di reato più gravi, quelle che la giurisprudenza è arrivata faticosamente a riconoscere e definire sulla scia di uno dei momenti più bui per la storia del mondo occidentale.
La scelta di Trump, che non a caso ha suscitato molta indignazione, va ad indebolire ulteriormente un’istituzione che, con molti limiti, cerca di difendere l’ideale di dignità universale attraverso il sistema del diritto sovranazionale. È davvero questa la posizione che uno dei più importanti Stati occidentali vuole assumere di fronte al mondo?
Silvia Andreozzi