L’apertura del Canale di Suez è tra le principali cause della tropicalizzazione del Mar Mediterraneo, un fenomeno oggi amplificato anche dal cambiamento climatico.
Ogni anno, mediamente 4 nuove specie provenienti dal Mar Rosso arrivano tramite il Canale di Suez nel Mare Nostrum e si stabilizzano definitivamente. Questo fenomeno, noto con il nome di migrazione lessepsiana, è tra le principali cause della tropicalizzazione del Mar Mediterraneo, il quale conta ormai oltre 800 specie aliene.
Il Canale di Suez
Inaugurato nel 1869 in Egitto, il Canale di Suez ha cambiato drasticamente i trasporti marittimi della zona, facilitando il collegamento tra il Mar Mediterraneo e l’Oceano Indiano. La costruzione fu affidata al francese Ferdinand de Lesseps (1805-1894), ma i lavori videro la collaborazione di diverse nazioni europee. All’epoca, il Canale misurava 164 km di lunghezza e 53 metri di larghezza, mentre oggi è molto più grande (193 km per 100 m), grazie ai lavori di ampliamento iniziati nel 2010.
La migrazione lessepsiana
Il termine “migrazione lessepsiana” deriva dal nome del costruttore del Canale, Ferdinand Lesseps, e indica il passaggio di specie dal Mar Rosso al Mar Mediterraneo. Trovando poi un habitat favorevole alla loro sopravvivenza, esse si stabilizzano e cominciano a proliferare. Durante i primi anni dall’apertura del varco, tale fenomeno era piuttosto ridotto, poiché i Laghi Amari aumentavano notevolmente la salinità del Mar Rosso rispetto a quella del Mediterraneo. Tuttavia, nel tempo il continuo flusso di acqua ha mitigato tale differenza, favorendo invece l’insediamento di specie aliene nel Mare nostrum.
In genere, la migrazione avviene solo in una direzione, ovvero dal Mar Rosso al Mediterraneo, ma esiste anche il fenomeno contrario, detto anti-lessepsiano, che però è marginale e di poco interesse, in quanto coinvolge un numero molto limitato di specie; questa disomogeneità trova spiegazione nella crisi di salinità del Messiniano.
Le prime specie aliene
Fino agli anni Settanta del secolo scorso, gli studi sul fenomeno si basavano principalmente sulla segnalazione di nuovi arrivi, cui seguiva la stesura di una lista faunistica delle specie effettivamente identificate. Da una prima ricostruzione, si è compreso che la migrazione lessepsiana iniziò circa trent’anni dopo l’apertura del Canale. In particolare, le prime due specie aliene accertate nel Mediterraneo furono:
- il pampo (Pampus argenteus), osservato sulle coste di Istria probabilmente nel 1896;
- il latterino orientale (Atherinomorus lacunosus), ritrovato ad Alessandria nel 1900.
Nel 1926, il Journal of Zoology pubblicò uno studio secondo cui 83 specie originarie del Mediterraneo e 235 provenienti dal Mar Rosso erano già state osservate nel Canale di Suez. Successivamente, nel 1929, i ricercatori confermarono la presenza stabile di 15 specie tropicali nella regione orientale del Mare nostrum. Di fatto la tropicalizzazione del Mar Mediterraneo aveva ormai avuto inizio e sarebbe diventato un fenomeno biogeografico marino tra i più imponenti della storia contemporanea.
Prima del Canale
La piattaforma israeliana, raggiungendo una temperatura superficiale estiva anche di 32 °C, è una delle zone più calde del Mar Mediterraneo. Invece, sul versante nord-occidentale dell’Africa, ovvero in prossimità dello stretto di Gibilterra, la temperatura massiva estiva non supera i 22,3 °C. Quindi, il Canale chiuso era un’ottima barriera naturale al passaggio delle specie tropicali, le quali, infatti, sono arrivate nelle nostre acque solo dopo l’apertura del varco.
Il Canale di Suez, una soluzione insostenibile
Indipendentemente dall’aspetto economico, i cui vantaggi sono indubbi e non trascurabili, l’apertura del Canale non è stata una scelta a favore dell’ambiente per diverse ragioni. In primis, il traffico marittimo intenso è una fonte importante di inquinamento, i cui effetti sono stati aggravati dall’ampliamento del varco qualche anno fa. Inoltre, come afferma la biologa Bella Galil dell’Università di Tel Aviv, “il continuo approfondimento del canale ha creato un acquario mobile di specie che, se non controllate, potrebbero rendere le acque costiere inospitali per l’uomo”.
Le specie aliene
Con più di 17.000 specie, di cui molte endemiche, il Mare nostrum è considerato un hotsopt di biodiversità. Tuttavia, ad oggi si conta l’introduzione di almeno 1000 specie aliene, anche dette Non Indigenous Specie (NIS), molte delle quali si sono definitivamente stabilizzate nei nuovi ecosistemi. In genere, le cause principali di queste invasioni sono:
- il traffico marittimo, sia commerciale sia da diporto, che veicola le specie tramite il fouling e le acque di zavorra;
- l’acquacoltura;
- il commercio per acquariofilia.
Spesso le specie aliene diventano invasive e pericolose, poiché sostituiscono quelle native, modificando gli habitat e alterando le catene trofiche. Invece, in alcuni casi possono avere un effetto positivo, in quanto sostengono gli ecosistemi degradati o particolarmente stressati.
La tropicalizzazione del Mar Mediterraneo
Il fenomeno della migrazione lessepsiana ha portato numerose specie tropicali nel Mar Mediterraneo, molte delle quali sono adesso un problema ambientale, economico e di salute per l’uomo.
Le meduse
Di colore blu ghiaccio, la medusa nomade (Rhopilema nomadica) è stata avvistata nel Mediterraneo già negli anni Settanta, ma ha ormai invaso il bacino levantino. Durante il periodo estivo gli sciami si estendono oltre le 60 miglia, ostacolando anche la pesca perché rimangono impigliate nelle reti. Inoltre, è un serio problema per le centrali elettriche costiere, in quanto gli esemplari intasano gli impianti di desalinizzazione e di raffreddamento. In ultimo, è un danno al turismo essendo una medusa mediamente pericolosa.
I pesci
Numerose specie ittiche sono entrate nel Mediterraneo dal Canala di Suez, stanziandosi poi in maniera definitiva. Si ricordano:
- il pesce palla a strisce (Lagocephalus sceleratus), avvistato per la prima volta nel 2003, è molto invasivo e soprattutto pericoloso, perché alcune porzioni del suo corpo sono tossiche (tetrodotoxina – TTX);
- il pesce trombetta a puntini blu (Fistularia commersoni), specie carnivora del Mar Rosso, è un predatore molto invasivo, che sta alterando diverse catene trofiche nel Mediterraneo;
- i pesci coniglio (Siganus rivulatus e Siganus luridus), soprattutto nelle zone della Turchia hanno ripulito i fondali dalle alghe, apportando un danno notevole all’ecosistema, perché la copertura algale è spesso un habitat fondamentale per molte specie;
- il pesce scorpione (Pterois miles), segnalato per la prima volta in Sicilia (2017), ha sulle pinne spine sottili e velenose, che possono causare forti dolori, febbre e difficoltà respiratorie in chi le tocca;
Crostacei e molluschi
Molto aggressivo e vorace, il granchio blu del Mar Rosso (Portunus segnis) è una specie altamente invasiva, che oggi si trova anche in prossimità delle coste italiane. Di colore verdastro e maculato, il granchio dentellato (Portunus pelagicus) è un’altra specie aliena ormai stanziatasi definitivamente nel bacino orientale del Mediterraneo. In ultimo, si ricorda il mollusco nudibranchio (Melibe viridis) che, caratterizzato da un manto traslucido bianco-giallastro, è una specie aliena non solo perché non indigena, ma anche per la sua peculiare morfologia.
Il riscaldamento globale
Una delle conseguenza più immediate di questo fenomeno è l’alterazione della distribuzione delle specie e, di conseguenza, degli ecosistemi marini. Da tempo, sono ormai noti gli effetti del riscaldamento globale sulla Terra e la rapidità con cui si manifestano. Vista anche la sua particolare forma, il Mar Mediterraneo è ancora più vulnerabile all’aumento della temperatura media superficiale e della salinità le quali, secondo uno studio del CNR (La Spezia), subiscono un incremento annuo rispettivamente di 0,002 °C e 0,001 unità.
Le temperature più elevate favoriscono l’insediamento delle specie originarie del Mar Rosso, poiché trovano un habitat favorevole alla loro sopravvivenza. Inoltre, dal momento che il riscaldamento delle acque interessa tutto il bacino mediterraneo, molte di queste specie tropicali si spingono anche verso le coste occidentali.
Questo fenomeno, noto appunto con il nome di tropicalizzazione del Mar Mediterraneo, ha arricchito la biodiversità di questo mare, ma anche alterato irreversibilmente diverse catene trofiche, rendendo piuttosto vulnerabile la stabilità di molti ecosistemi marini.
Monitorare questi eventi é fondamentale per comprenderne sia l’intensità sia gli effetti su larga scala. Inoltre, a fronte di un passato durante il quale tante operazioni non sono state fatte per mancanza di conoscenze, oggi si ha una consapevolezza diversa. Infatti, è urgente intervenire nell’interesse dell’ambiente, per ostacolare la perdita di biodiversità e/o incentivare l’alterazione irreversibile degli ecositemi.
Forse, immaginare un Mar Mediterraneo caraibico può anche far sognare un paradiso maldiviano a km 0, ma la nostra ricchezza di flora è fauna non ha meno importanza o valore di quella tropicale.
A un certo punto della sera e del mattino l’azzurro del Mediterraneo supera ogni immaginazione o descrizione. È il colore più intenso e meraviglioso, credo, di tutta la natura.
Carolina Salomoni