Il secolo dei Lumi vede lo splendore della “grandeur” francese, ove è viva la dialettica tra il neoclassicismo e artifizi scenico-figurativi. Il filone del dissimulare e dell’effetto ottico ha largo seguito nel Settecento, in cui lo spirito rococò ridonda su alcuni giochi visivi che dilettano il gusto di artisti e collezionisti.
Il piacere di riprodurre armadietti, librerie, tendaggi, mensole in pittura “ingannando l’occhio” dello spettatore accondiscende con il sentire diffuso all’epoca, in cui il virtuosismo e l’eccesso decorativo sono sinonimi di stile.
Già precedentemente nel Rinascimento, a seguire nel Barocco, il verosimile diletta mecenati che riempiono le proprie abitazioni di colonnati e sculture false. Il Settecento accoglie questo stilema arricchendolo di peculiarità dovute a una maggiore disinvoltura con il dominante “principio di imitazione”. La giocosità, la faziosità, la maschera sono tutti elementi che rendono il trompe l’oeil un elemento cardine imprescindibile della cultura del secolo.
Il diffuso laicismo dà un’impronta diversa all’effimero gioco visivo che diventa esclusivo diletto estetico. Una reazione all’ “horror vacui” che in musica riempie battute di note infinitesimali, in arte la pittura ad inganno ricolma pareti di casi nobiliari.
La nota “Biblioteca” (1710) di Giuseppe Maria Crespi assurge a simbolo di questa rigenerata poetica della finzione. Lo stilema figurativo dell’uomo che fuoriesce dalla cornice è ben rappresentata dal francese Philippe de Champaigne nel suo “Ritratto d’uomo”(1650).
A regnare sovrana è ancora l’effigie della natura morta, abbondantemente diffusa già in pieno Seicento da artisti come Francois de La Motte, memore dell’eredità fiamminga.
Un’opera distintiva della cultura del Trompe l’oeil che la stigmatizza e allo stesso tempo la supera è “Disegni sotto vetro con autoritratto” (1800) di Louis-Lèopold Boilly. Qui un insieme di disegni, tra cui l’autoritratto dell’artista, è collocato in una cornice, in cui si nota il vetro rotto. La fragilità, la caducità dell’essere sgorgano come un monito osservando il quadro che avvolge il gioco allusivo in un’atmosfera di decadenza, di epilogo. Esente dal consueto gusto autocompiacente e fazioso, l’opera chiude una fase dedita all’”arte per l’arte” e al puro esercizio di stile.
Allo scoccare dell’Ottocento muta il vento e l’intento sarà un altro, come espresso da Balzac: “La missione dell’arte non è di copiare la natura, ma di esprimerla!”.
Costanza Marana