Trigger Warning: etica ed efficacia della prevenzione da traumi in rete

onnipresenti sui social media, e utili a prevenire l'inasprimento delle censure online, gli avvisi di Trigger Warning hanno un'effettiva efficacia nel limitare l'esposizione a contenuti indesiderati in rete?

Trigger Warning, social media, oscuramento contenuto

Nello sforzo di rendere la rete uno “spazio sicuro”, parte delle nuova filosofia giovanile prevede che per post o contenuti potenzialmente capaci di creare reazioni negative nel lettore – per via di traumi pregressi o per la natura esplicita del contenuto – siano inclusi avvisi noti come Trigger Warnings, o TW, i quali indicano in linea generale gli argomenti potenzialmente traumatici presenti. Ma la loro efficacia è piuttosto dubbia, e il loro impiego altalenante.

Trigger Warning: sull’efficacia della prevenzione da traumi in rete – “TW: operazioni chirurgiche, sangue”. Un esempio delle miriadi di Trigger Warning che adornano post su social media. Il loro scopo è chiaro, quello di premettere i contenuti di discussioni potenzialmente sensibili verso i lettori, dando loro la chance di decidere autonomamente se continuare o meno con la visione di un certo contenuto.

Eppure, l’efficacia e l’impiego degli stessi presenta questioni importanti sulla funzione dell’autocensura in rete, e sulla responsabilità che intercorre fra informatore e informato su ciò che merita o no di essere oscurato per favorire la protezione da visioni scomode. Ad esempio, le rappresentazioni di guerra.

Trigger Warning e Safe Space, termini fondamentali nel discorso attuale

Vediamo, per prima cosa, di fare ordine sul significato di queste parole così presenti online, tanto da aver creato il termine “triggerare”.

Implementati in ambito accademico e, adesso in maniera pervasiva sui social media, i Trigger Warning si pongono come intento quello di una creazione di uno “spazio sicuro” ambienti dove chi vi partecipa possa sentirsi esente da forme di discriminazione o ad esposizioni potenzialmente traumatiche.

Traumi ed episodi di PTSD cambiano da individuo a individuo, e dunque non è sempre possibile sapere quali siano. La discussione di tematiche sensibili quali, ad esempio, l’aborto, può avere effetti irrisori su persone non direttamente coinvolte, e causare invece una risposta negativa per branche di utenza più vicine per esperienza personale. 

Da ciò, i Trigger Warning, essenzialmente una premessa, a volte semplicemente presentata a parole come preambolo al testo, e in casi più controversi, introdotta a livello di interfaccia attraverso un oscuramento del contenuto. Nati nei webforum di ideologia femminista nel 2010, la pratica si è poi mossa in ambito academico e sui social media, prevalentemente Instagram, Facebook e TikTok.

“Il frutto proibito”. Gli studi sull’efficacia dell’oscuramento del contenuto e dei Trigger Warning

L’efficacia del fenomeno però appare discutibile. Secondo uno studio, condotto per la rivista Clinical Psychological Sciences, l’interazione dell’utenza con contenuti reputati sensibili pone anzi il rischio di un vero e proprio effetto boomerang, chiamato “effetto del frutto del proibito”: durante i testi condotti, una buona fetta di individui accedeva con maggiore frequenza ad immagini e video presentanti Trigger Warning proprio a causa della loro presenza. 



Ma un’altra conseguenza pare essere quella, quasi controintuitiva, di un peggioramento delle condizioni negli individui verso cui tali meccanismi sono stati messi in funzione, causando inziali reazioni di stress e ansia nell’approcciarsi a un contenuto che, proprio per via del prima citato effetto del “frutto proibito”, si tende comunque a visualizzare. 

Gli articoli prima citati però non pongono in discussione l’importanza della loro esistenza (Difatti, per quanto concerne il mondo accademico, numerosi articoli discutono invece di come essi permettano agli studenti di sviluppare una maggior concentrazione negli studi e di riportare un miglioramento nelle condizioni di benessere all’interno dell’ambiente scolastico), argomentando semmai che la loro implementazione, specialmente per quanto concerne il loro utilizzo nei social media, il quale risulta piuttosto ambiguo per quanto riguarda i topic verso cui si utilizzano tali protezioni, e dove invece essi risultano pressoché assenti.

Non risulta improbabile infatti pensare che tali sistemi possano essere usati a livello di manipolazione dell’utente, sfruttando tali dinamiche psicologiche per accrescere le interazioni verso determinate tipologie di contenuto, anche se a scapito di chi vi interagisce.

Il dibattito intorno ai Trigger Warning: responsabilità di scelta e compassione o deresponsabilizzazione e infantilizzazione?

L’etica dei Trigger Warning è tuttora soggetta a un forte dibattito, specie negli Stati Uniti, dove ha assunto tratti di ideologia politica, dividendo come solitamente accade negli USA fra una sinistra liberale la cui tendenza è quella dell’accettazione delle nuove tecnologie a fini di maggiore compassione nei confronti di minoranze e dell’individuo, e una destra conservatrice per cui simili scelte conducano invece a una maggiore infantilizzazione di un gruppo di giovani adulti a cui viene offerta la possibilità di non crescere. Come al solito, probabilmente, la verità sta nel mezzo. 

dove i punti a favore mirano a una maggiore possibilità di scelta dell’utente a quali contenuti egli voglia e possa accedere, e a una maggiore possibilità di non incontrare casualmente rappresentazioni che possano risultare come violente, dall’altro lato si discute degli effetti che una volontà spasmodica di protezione può avere verso chi è reduce di esperienze traumatiche. Dianne Grande, PhD in psicologia clinica, afferma che sistemi di protezione come i trigger warnings oltre ad essere inefficaci, contribuiscano a rendere i traumi passati parte della personalità di chi li ha subiti, senza aiutarla a superarli, e che prevengano la crescita emotiva. 

La dottoressa Hyla Orland evidenzia invece l’aspetto opposto, quello per cui è l’ offerta di una scelta all’utente un momento importante di crescita individuale, la cui capacità è di permettere una crescita graduale e condotta secondo la volontà della persona che possa sentirsi minacciata.

Il testo della dottoressa Orland però presenta un’altra interessante questione, quella del cattivo impiego di Trigger Warning: fra gli individui intervistati, molti esprimono una sincera frustrazione nei confronti di contenuti dove essi vengono utilizzati apparentemente “senza motivo”, scatenando invece un certo fastidio nell’equiparazione di contenuti presentanti tematiche come la violenza sessuale o dinamiche di guerra ad altri reputati “meno traumatici”. 

Guerra, geopolitica, e dove – forse – non andrebbero usati oscuramenti del contenuto in rete

Negli ultimi mesi abbiamo assistito a una drastica diffusione sui social media di contenuti in presa diretta dove venivano raffigurati gli orrori della guerra, specie per quanto riguarda il conflitto in Ucraina e Palestina. Video ed immagini spesso disturbanti, il cui effetto è stato anche quello di smuovere un pubblico solitamente disinteressato o marginalmente coinvolto a partecipare maggiormente a ciò che sta avvenendo adesso.

Nessuno può negare l’innegabile capacità di questi di creare choc e causare potenziali trigger traumatici, eppure è forse proprio in via delle potenti reazioni scatenate che il mondo occidentale ha trovato una rinnovata attenzione nei confronti delle popolazioni oppresse. 

Il ruolo di Trigger Warning e meccanismi di oscuramento di contenuto si trova qui a un curioso bivio: cosa diventa giusto oscurare, da cosa è lecito proteggere per quanto riguarda l’accesso all’informazione? Cosa merita di essere rappresentato nella sua intera crudezza, ignorando i potenziali danni alla psiche che può comportare?

Una condizione, questa, particolare, e quasi senza precedenti proprio a causa della relativa novità di tale questione, per via del fatto che contenuti sensibili erano prima quasi del tutto inediti sui social media, i quali tendevano invece a voler mantenere linee guida forti e dai tratti a volte censoriali su ciò che poteva o non poteva circolare al loro interno.

Roberto Pedotti

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