Di Mirko Busto
Colpevole. È questa la sentenza emessa dal Tribunale Monsanto, l’iniziativa internazionale della società civile nata nel 2015 all’Aja, nei Paesi Bassi, con lo scopo di “giudicare i crimini di cui è imputata la Monsanto (oggi Bayer-Monsanto) nei settori ambientali e sanitari e contribuire al riconoscimento del crimine di ecocidio nel diritto internazionale”.
Dell’iniziativa hanno fanno parte movimenti civici, ong e autorevoli personalità internazionali come l’ecologista indiana Vandana Shiva, l’australiano Andre Leu, presidente della Federazione internazionale dei movimenti d’agricoltura biologica, la scrittrice e regista Marie-Monique Robin, autrice dell’inchiesta Il mondo secondo Monsanto e madrina del progetto.
Un processo unico e senza precedenti: un processo esemplare di cui hanno fatto parte giudici di cinque continenti che hanno sentenziato sulla base dei “Princìpi guida sulle imprese e i diritti umani” approvati nel 2011 dal consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite e che, tramite gli strumenti del diritto internazionale, hanno esaminato tutti i veri e propri capi d’imputazione e, sulla base di questi, hanno condannato la Monsanto e con essa tutte quelle multinazionali e aziende che mosse unicamente dalla ricerca del profitto minacciano la salute degli esseri umani e la sicurezza del pianeta. All’agrochimica, alle monoculture Ogm e agli allevamenti intensivi ad esse correlati, sono imputabili, infatti, molti danni all’uomo e all’ambiente: deforestazione, inaridimento dei terreni, scomparsa della biodiversità, inquinamento dell’aria, della terra e delle falde acquifere a causa dell’uso massiccio di pesticidi e di concimi di sintesi.
L’agricoltura industriale secondo l’Onu è responsabile di almeno il 30 per cento delle emissioni di gas serra. E secondo un rapporto dell’ong Grain, si sale al 50 per cento delle emissioni se si include tutta la catena agroindustriale, inclusi la trasformazione e il trasporto degli alimenti.
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, infine, proprio questo modello di produzione sarebbe tra le principali cause del progredire di “quell’epidemia di malattie croniche evitabili” come cancro, Alzheimer o Parkinson.
Una minaccia non solo per l’ambiente ma anche per la sovranità alimentare di tutti quei popoli che non hanno e non potranno più avere accesso ai semi, se non a pagamento, a causa dei brevetti sulle sementi e alla privatizzazione degli organismi viventi.
Tutte queste accuse sono state confermate dalla sentenza emessa dal Tribunale Monsanto che, dopo aver sentito numerose testimonianze, ha offerto un parere legale basato sulle linee guida della Corte internazionale di giustizia.
Marcos Orellana, direttore del Programma diritti umani e ambiente del Center for International and Environmental Law (CIEL), ha spiegato che Monsanto ha un impatto negativo sul diritto ad un ambiente salutare, considerato precondizione per tutti gli altri diritti umani e stabilito dalla convenzione di Stoccolma del 1972.
Il vasto uso di glifosato e Ogm, inoltre, impatta pesantemente sugli ecosistemi. La carenza di informazioni sui rischi reali di queste sostanze, l’assenza di misure di mitigazione e l’insufficienza delle valutazioni di impatto ambientale, sono indici del mancato rispetto del diritto ad un ambiente salubre e pulito.
L’esperto ha infine dichiarato che il Tribunale possiede informazioni sufficienti per imputare alla multinazionale anche il crimine di ecocidio, inteso come atto che reca un grave pregiudizio all’ambiente o che lo devasta in modo da alterare gravemente e per lunghi periodi beni comuni e servizi ecosistemici da cui dipendono determinati gruppi umani.
Eleonora Lamm, direttrice della Suprema Corte di Giustizia di Mendoza, ha valutato invece gli impatti sul diritto al cibo e alla salute della multinazionale. Dopo aver ascoltato numerosi testimoni, ha concluso che Monsanto vìola questi diritti fondamentali inquinando il suolo, l’acqua e, attraverso il monopolio del mercato con i suoi semi Ogm e i suoi brevetti, interferisce con la possibilità dei piccoli agricoltori di produrre il proprio cibo autonomamente attraverso pratiche tradizionali. La sopravvivenza delle culture contadine è quindi pesantemente limitata dal diffondersi di pratiche industriali legate a diritti di proprietà intellettuale, che costringono gli agricoltori a pagare cospicue royalties, perdendoci sia in indipendenza che in sicurezza alimentare.
Steven Shrybman, canadese, partner dello studio legale di Goldblatt Partners LLP, esperto in commercio internazionale e parte dei consigli direttivi dell’organizzazione Council of Canadians e dell’Institute for Agriculture and Trade Policy, ha valutato l’incompatibilità delle attività di Monsanto con il diritto ad una ricerca scientifica libera, gli esperti dovrebbero avere la possibilità di portare avanti ricerche senza influenze e conflitti di interessi. Una possibilità lesa dalla Monsanto e da numerose multinazionali che sono divenute proprietarie di comparti fondamentali della ricerca scientifica, influenzando la politica con informazioni false. Shrybman ha inoltre sostenuto che il commercio internazionale oggi consente alle imprese di minare alla base la capacità degli stati di limitare gli impatti ambientali e sociali delle loro attività. In particolare tramite i meccanismi di arbitrato internazionale (ISDS), strumento unilaterale che permette alle aziende di fare causa ai governi che minacciano i loro profitti.
Come ha spiegato il belga Olivier de Schutter, ex relatore speciale dell’Onu per il diritto all’alimentazione e professore di diritto internazionale all’Università cattolica di Lovanio:
“Il testo che ne scaturisce rappresenta il riferimento più ampiamente condiviso per definire le responsabilità delle imprese riguardo al diritto alla salute o il diritto a un ambiente sano”.
Tuttavia, questa sentenza non godrà di un riconoscimento internazionale. Trattandosi di un tribunale d’opinione e non una corte ordinaria, infatti, non vi saranno condanne penali.
Ma questo non significa che il risultato non sia epocale: la sentenza è un caso esemplare a cui fare riferimento in occasione di altre cause nazionali e internazionali, ma soprattutto dovrebbe essere, in un Paese normale, un importante strumento per informare l’opinione pubblica su ciò che sta accadendo e per far partire, dati alla mano, un’azione politica atta a scongiurare l’azione di queste multinazionali.
In altri Paesi sta già accadendo…
Gli abitanti di Nitro, la città del West Virginia dove Monsanto produceva l’Agente arancio, nel 2013 hanno ottenuto dei risarcimenti per i danni subiti a causa dell’inquinamento da diossina.
L’agricoltore francese Paul François, vittima di un’intossicazione dovuta all’erbicida Lasso di Monsanto, nel 2012 ha ottenuto la condanna della multinazionale, obbligata a versargli un risarcimento.
Anche a Los Angeles e a New York alcuni lavoratori agricoli ammalati di cancro alle ossa e leucemia a causa dell’utilizzo di Roundup, hanno avviato un procedimento contro la multinazionale.
Delle azioni giudiziarie avviate singolarmente non possono sostituire un intervento dei poteri pubblici. Ogni anno Monsanto mette da parte somme colossali per affrontare i processi che potrebbero intentarle le vittime dei suoi prodotti. Il che però non basta a costringerla a modificare le sue pratiche. Ovviamente, conti alla mano, la Monsanto preferisce spendere un po’ di spiccioli in avvocati e risarcimenti piuttosto che modificare la sua lucrosa produzione di veleni e morte.
Da qui nasce l’importanza di riformare le leggi nazionali e comunitarie e di limitare lo strapotere di multinazionali e lobby sia a livello locale sia a livello globale e di tenere ben presente, anche nella normativa nazionale, le convenzioni internazionali su ambiente e diritti umani, nonché i principi guida per il business, oggi indubbiamente elusi e violati.