Tribunale mediatico: tra clamore, potenza e rischio

Tribunale mediatico

Tribunale mediatico: tra clamore, potenza e rischio

Internet, i social media nello specifico, sono un’entità capace di riflettere i lati più e meno oscuri della società. Innegabilmente fonte costante e aggiornata d’informazione, consumo e produzione di notizie. Nella traslazione però, tendono a scomparire sfumature e dettagli, ad accentuarsi i poli mai nitidi del bene e del male, e nell’eccesso, ogni fatto diviene processabile in un pericoloso, perché impreciso, tribunale mediatico

La rappresentazione amplificata quanto generalizzata degli avvenimenti criminosi e non, capace di indirizzare, esaltare, convincere l’opinione pubblica della sua capacità di giudizio, è una patologia storicamente televisiva. Si pensi emblematicamente al processo contro l’anarchico Pietro Valpreda accusato per la strage di Piazza Fontana, poi assolto ma comunque demonizzato dalla rabbia e la ricerca spasmodica di risposte del tribunale mediatico

La stessa facoltà di seminare colpevolezze, appartiene oggi ai social media. Un’immensa platea dispiegata sui fatti, spesso mal riportati o incompleti.

Si pensi, ora, a Sabrina Quaresima dirigente scolastica del liceo Montale di Roma, sospettata di aver avuto una relazione con uno studente maggiorenne. Scagionata dalla giurisdizione, ma condannata precocemente e superficialmente da un pubblico affamato di scandalo. 

“È la fine di un’angoscia mai provata. Sono stata processata senza appello da un tribunale mediatico senza morale né scrupoli”

Le sue parole segnano il fallimento nell’alfabetizzazione mediatica

Mezzi di comunicazione di massa, che dalle masse non sanno trarre il meglio. Che fanno dell’inopportuno, l’illegale, travisando.




Scompare l’equo processo, la pretesa di verità certe, non esiste più alcuna continenza espositiva. I tempi sono molto più rapidi rispetto alla reale azione penale, celeri e definitivi. La brama sembra essere quella di scovare un nemico idealizzato, utopico, che possa rappresentare la contrarietà stessa del nostro essere, convincerci di una personale rettitudine. Lo si cerca freneticamente nell’apparente assassino, nell’imputato di stupro, nell’eventuale ladro, ma anche e specialmente negli individui accusati di atti che sono vizi comuni. Professata integrità, praticata ipocrisia. 

Lacrime di annunci divengono uragani nel caotico susseguirsi di vecchie e nuove opinioni moraleggianti. I verdetti social, per quanto irrilevanti a livello giuridico, sono esasperazioni che scalfiscono le esistenze, con conseguenze, per il soggetto minato, irreversibili e spesso, devastanti. Assumono la colpevolezza come premessa, dimenticando un fondamento essenziale della giustizia, l’opposta “presunzione d’innocenza”. E si tratta di convinzioni, che per quanto influenzate dalla soggettività di ognuno, permangono, eterne.

Afflizioni perpetue, ignoranti la dignità del prossimo.

Non vi è in discussione il diritto all’informazione o all’espressione, quanto individuare un giusto spirito critico, che eviti irreparabili fratture sociali. Come comunità, a oggi, si sta operando la scelta di rinunciare a un presidio di civiltà.

Requisito per nutrire menti aperte è seminare consapevolezza. Il suo germogliare può (e dobbiamo fare in modo che possa) contrastare i parassiti della disinformazione e della propaganda, impedendo che si sostituisca alla sensibilità umana, l’incessabile sentenziare.

Giorgia Zazzeroni

 

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