Il Tribunale di Bologna ha sollevato un quesito giuridico di particolare rilevanza sul DL Paesi Sicuri, che ha portato la sezione immigrazione del tribunale a richiedere un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. La questione riguarda i criteri in base ai quali un Paese terzo possa essere designato come “Paese di origine sicuro” per i richiedenti asilo e i rifugiati. Il tribunale emiliano ha evidenziato la necessità di chiarire quali parametri e standard internazionali devono essere presi in considerazione per stabilire la sicurezza di un Paese, una valutazione che deve riguardare non solo la popolazione nel suo insieme, ma anche le minoranze e i gruppi vulnerabili.
Un richiamo alla direttiva europea sulle procedure di asilo
La direttiva 2013/32/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, che stabilisce le procedure comuni per il riconoscimento e la revoca dello status di protezione internazionale, costituisce il quadro giuridico di riferimento in questo ambito. Il DL Paesi Sicuri, recentemente approvato dal governo italiano, ha sollevato dubbi circa la sua conformità con tale direttiva. In particolare, la direttiva richiede che ogni Stato membro effettui valutazioni approfondite e individuali per ogni richiedente asilo, anche se proveniente da un Paese ritenuto generalmente sicuro.
Uno dei quesiti principali sollevati dal Tribunale di bologna riguarda l’obbligo del giudice nazionale di non applicare le disposizioni nazionali che si trovino in contrasto con la direttiva europea. In questo caso, il decreto italiano stabilisce che determinati Paesi siano considerati sicuri, ma non chiarisce fino a che punto il giudice abbia il margine per verificare se questa sicurezza si applichi effettivamente a tutti gli individui e a tutte le minoranze di tali Paesi. La decisione di rivolgersi alla Corte di Giustizia evidenzia la preoccupazione che tale decreto possa entrare in conflitto con i diritti fondamentali dei richiedenti asilo.
Il dibattito sulle condizioni di sicurezza nei Paesi terzi
Le valutazioni sulla sicurezza di un Paese non sono mai semplici. Il decreto italiano include, tra i Paesi sicuri, diverse nazioni dove però alcune categorie di persone possono essere soggette a persecuzioni o violazioni dei diritti umani. L’organizzazione Gaynet, per esempio, ha espresso preoccupazioni sul fatto che tra i Paesi considerati sicuri dall’Italia vi siano Stati in cui l’omosessualità è ancora criminalizzata o perseguitata. Rosario Coco, presidente di Gaynet, ha sottolineato che nove dei diciannove Paesi nella lista perseguono legalmente l’omosessualità, mentre altri prevedono restrizioni per le persone trans.
Coco ha evidenziato come la sicurezza di un Paese dovrebbe riguardare non solo la maggioranza della popolazione, ma anche i gruppi vulnerabili, riflettendo che il decreto italiano, se applicato senza i dovuti controlli, potrebbe condurre a situazioni paradossali. È stato citato l’esempio della Germania nazista, dove la maggior parte della popolazione tedesca viveva in una condizione di sicurezza, pur mentre minoranze come gli ebrei, gli omosessuali e gli oppositori politici erano perseguitati. Secondo Gaynet, applicare il concetto di Paese sicuro in modo troppo estensivo potrebbe quindi condurre a pericolosi fraintendimenti.
La risposta del governo italiano al Tribunale di Bologna
Il governo italiano, nel difendere il decreto, sostiene che l’adozione di una lista di Paesi sicuri è una pratica comune in Europa e serve a rendere più efficienti le procedure di asilo, riducendo i tempi di valutazione per i richiedenti provenienti da Paesi con un generale stato di sicurezza. Tuttavia, vi è stato un acceso dibattito politico su questa scelta.
Tommaso Foti, capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, ha criticato la decisione del tribunale bolognese di rinviare il decreto alla Corte di Giustizia Europea, sottolineando come il governo italiano abbia il diritto sovrano di stabilire quali nazioni siano considerate sicure per i propri standard. Secondo Foti, il giudice ha comunque la prerogativa di valutare caso per caso se il Paese d’origine di un richiedente asilo sia sicuro anche per le sue specifiche condizioni individuali. Per i sostenitori del decreto, dunque, la normativa rispetta pienamente i diritti umani e permette una maggiore efficacia nelle procedure di gestione delle richieste d’asilo.
Le implicazioni di un’eventuale sentenza della Corte di Giustizia Europea sulla richiesta del Tribunale di Bologna
L’esito del pronunciamento della Corte di Giustizia Europea potrebbe avere conseguenze significative per il sistema di accoglienza italiano e, più in generale, per la gestione delle migrazioni in Europa. Se la Corte stabilisse che le norme europee richiedono criteri più stringenti e una valutazione più ampia della sicurezza dei Paesi d’origine, il decreto italiano potrebbe necessitare di una revisione sostanziale. Inoltre, questa decisione potrebbe influenzare le politiche di altri Paesi membri dell’UE, costringendoli a rivedere le proprie liste di Paesi sicuri alla luce delle direttive europee.
Alcuni esperti di diritto europeo vedono nella decisione del tribunale bolognese un importante richiamo alla necessità di armonizzare le pratiche nazionali con i principi di protezione dei diritti umani sanciti a livello europeo. L’UE, infatti, pone come pilastri della sua politica migratoria la salvaguardia della dignità umana e il diritto alla protezione internazionale, che devono essere rispettati in ogni procedura, anche laddove il richiedente provenga da un Paese generalmente considerato sicuro.