In Italia e in Francia i due Governi che siglarono il 25 marzo i Trattati di Roma, quelli di Segni (tripartito Dc, socialdemocratici e liberali) e Mollet (socialista, al governo coi radicali), non fecero in tempo a vederne la ratifica, perché entrarono in crisi e furono sostituiti dagli esecutivi Zoli (monocolore dc) e Borgès-Monory (radicale con coalizione invariata).
Nel caso francese si era nel coma finale della Quarta Repubblica: quella fu l’ultima decisione forte di un sistema strutturalmente impotente che vide nei mesi successivi alternarsi gli esecutivi Gaillard e Pfimlin prima del ritorno di de Gaulle nel maggio 1958.
La situazione in Italia all’epoca del Trattato di Roma
In Italia, invece, costituì un’importante anteprima: quella che stava morendo era certo una fase importante, quella centrista, ma non un sistema. Proprio il dibattito parlamentare del luglio 1957 dimostrò che esisteva un’alternativa, sia pure ancora acerba, il centro-sinistra.
Infatti il Partito socialista, sull’onda del diverso giudizio sulla rivoluzione ungherese del 1956, votò per la prima volta in modo difforme dal Pci: a favore sull’Euratom e si astenne sul Mercato comune con un significativo e solenne intervento alla Camera di Riccardo Lombardi. Restava per ora la contrarietà all’atlantismo, ma si apriva la breccia verso l’europeismo, analogamente all’itinerario che avrebbe percorso il Pci negli anni ‘70.
Il sistema francese
Mentre la soluzione per la Francia che richiedeva un cambio di sistema fu il doppio meccanismo maggioritario (collegi varati nel 1958 ed elezione diretta del Presidente nel 1962), per l’Italia, che richiedeva invece una nuova coalizione, la soluzione fu opposta, quella di proporzionalizzare di più il sistema, per consentire al Pci di allontanarsi maggiormente dal Pci.
Così, a cinque giorni esatti dai Trattati di Roma, il 30 marzo, fu varato il Testo Unico della Camera dei deputati, la grande legge madre di tutte le norme elettorali, che stabilizzava la proporzionale senza il premio di maggioranza (non scattato nel 1953), nonostante tutte le successive modifiche, reca tuttora quella data.
Le due correzioni più importanti erano già state varate in precedenza: l’abolizione del premio nel 1954 (primo firmatario della proposta non casualmente Pietro Nenni) e l’abbassamento della correzione del quoziente circoscrizionale da più 3 a più 2 nel 1956, ma il Testo Unico dava l’idea di una scelta stabilizzata.
Peraltro nel 1956 si era anche tolto il premio nei comuni maggiori (dove la formula tornava proporzionale pura, eliminando le coalizioni) e limitata la soglia per il maggioritario (che prima si applicava fino a 30 mila abitanti e ora fino a 10 mila, per cui fino a quella soglia il Psi poteva presentarsi ora separatamente dal Pci) e la dominanza della componente maggioritaria nelle province: La soglia per il maggioritario nei comuni fu ulteriormente abbassata a 5 mila abitanti nel 1960.
Una coalizione interna coerente
La scelta europea richiedeva una coalizione interna coerente, in grado di applicarla e, nonostante alcune tentazioni presenti nel Paese che si manifestarono in particolare col Governo Tambroni, non poteva essere trovata a destra, per quanto monarchici e missini avessero votato a favore dei Trattati con una logica opposta a quella dell’itinerario delle sinistre: le destre erano scettiche su quella Europa dominata da partiti Dc e socialisti (guidavano i governi Dc Segni, Adenauer per la Germania e Beck per il Belgio, i socialisti Mollet per la Francia, Drees per l’Olanda e Van Acker per il Belgio), ma l’accettavano per un atlantismo vissuto in chiave anticomunista. La scelta europea funzionò quindi come un acceleratore potente a favore della soluzione di centro-sinistra.
La celebrazione rivela l’urgenza di una nuova Unione federale
E oggi? Si può forse parlare di una conferma politica e di un problema istituzionale. La celebrazione rivela l’urgenza di una nuova Unione federale, il cui tempo inizierà dopo le elezioni francesi e tedesche, dopo i possibili successi di Macron e di Schulz (o Merkel). Questa prospettiva influenzerà in modo decisivo la formazione delle coalizioni.
Ciò soprattutto nel centro-destra che, al di là degli accordi per le elezioni comunali e regionali dove quella linea di frattura non pesa, e delle possibili finzioni pre-elettorali non potrà dar vita a una credibile coalizione di governo tra chi è contrario (Lega e Fdi) e chi è favorevole perché legato al Ppe (Fi).
Questo vale però anche per le ricorrenti illusioni di qualcuno, a sinistra, di riaprire trattative per un sedicente ‘governo di cambiamento’ con il M5S che ha una piattaforma contraria all’Unione federale. Fin qui la conferma politica: oggi come allora le coalizioni politiche nazionali hanno un vincolo di omogeneità europea.
A differenza di allora, invece, esiste però un problema istituzionale enorme che potrebbe rendere qualsiasi equilibrio di governo impossibile o del tutto precario.
Allora la proporzionale quasi pura era lo strumento coerente per giungere a quel risultato politico, oggi essa appare obiettivamente disfunzionale perché potrebbe privarci della coerenza istituzionale necessaria per l’adesione credibile all’Unione federale.
Forse l’Italia di oggi è più simile alla Francia del 1957 e richiede anche un cambio di sistema per poter entrare nell’Unione federale e non solo un successo delle forze europeiste.
Stefano Ceccanti