Nell’era del trasporto alternativo l’importante non è la meta, ma il viaggio.
Parola di globe trotter. “Andare” conta tanto quanto “arrivare”? La risposta dipende soprattutto dal come. Negli anni alternative e opzioni di viaggio si sono evolute e susseguite, insieme al cambiare dei tempi. E Uber è l’esempio lampante di questa revolutionary road.
La storia di UberCab, questo il nome originario, inizia tra il 2008 e il 2009. E come sempre, l’idea nasce dall’esigenza: spostarsi in città in modo agile e smart, senza il problema del parcheggio ed evitando la calca dei mezzi pubblici. E Uber lo fa. Non un servizio taxi, non solo un’applicazione. Un mezzo di trasporto alternativo. Un disegno, tracciato dai nuovi confini della mobilità, che diventa realtà. Welcome ride sharing. Ed è subito gig economy: si lavora, e dunque si viaggia, on demand. L’utente chiama, Uber risponde, e arriva. Pochi tap e il gioco è fatto. Nessuna attesa al telefono, nessun misunderstanding lessicale. Uber arriva e sa già dove andare. Il punto però è: chi è Uber? “Uno, nessuno, centomila” la risposta più spontanea, tutt’altro che rassicurante.
I dati del primo rapporto sulla sicurezza e sulla violenza, preparato e reso noto dalla società stessa, scuotono l’intero settore del trasporto alternativo.
Quasi seimila casi di violenza sessuale sulle auto di Uber in due anni nei soli Stati Uniti. Una ventina di morti per aggressione e quasi cento incidenti fatali. Denunce e polemiche anche contro la rivale Lyft, che promette di migliorare la sicurezza e aumentare i controlli sui propri autisti. Dal 21 novembre, su Twitter, le testimonianze degli utenti Uber si sono moltiplicate: tramite l’hashtag #UberCestOver (Uber, è finita), hanno raccontano di come sono stati violentati o aggrediti sessualmente.
In risposta l’azienda promette di stabilire un sistema di identificazione dei conducenti in tempo reale, e di richiamare tempestivamente coloro che fanno denuncia. Promette insomma, ma intanto patteggia.
Patteggia con US Equal Employment Opportunity Commission il pagamento di 4,4 milioni di dollari per risolvere le accuse di molestie e discriminazioni sessuali. Patteggia con le vittime per stabilire un risarcimento, che non può esserci perché non ha un prezzo, ma un costo, che si paga nei termini di qualità della vita.
La sicurezza è un diritto, da custodire e da tutelare, senza possibilità di appello, o di compromesso.
Troppo spesso ce ne dimentichiamo. E lo diamo per scontato. Autostop, ride sharing, trasporto alternativo: l’incognita di chi aprirà la portiera dell’auto per invitarci a salire a bordo, rimane tale. Cambiano i mezzi, ma il principio non cambia. E neanche gli effetti collaterali. L’ atmosfera non deve essere sicuramente quella di un remake de “Il collezionista di ossa”, ma proprio perché la vita non è un film, a volte può essere utile ricordare che il viaggio non è, solo, un’app.
Emma Calvelli